R Recensione

7/10

Klaus Schulze-Lisa Gerrard

Farscape

L’ambiguità della situazione nel recensire un disco come questo, la fortuna e la disgrazia allo stesso tempo, sono quelle di avere la possibilità di scrivere molte parole. Ci si trova nell’ambito della musica pop elettronica. Schulze è un musicista berlinese sessantenne che giovanissimo fa esperienza come batterista nei celebri Tangerine Dream, il gruppo di pop cosmico tedesco, quindi suona i sintetizzatori negli Ash Ra Tempel e gia dal 1971-72 è in proprio, imprenditore di se stesso. La sua discografia è notevolissima, intorno ai cento album.

Questa in estrema sintesi la carriera, costellata un tempo da numerose esibizioni dal vivo. Questo disco è pubblicato in coppia con la cantante dei Dead Can Dance Lisa Gerrard, l’ex gruppo di spicco dell’etichetta 4AD. Un connubio stimolato dal tastierista che ha maturato la convinzione che si potesse ottenere una buona amalgama dai due strumenti, considerando anche le affinità tra la musica dei gruppo della Gerrard e la sua. I sette movimenti portano lo stesso titolo, Liquid Coincidence, con numerazione da uno a sette; il tempo dei due CD ammonta a circa centocinquanta minuti. Da qui in poi si userà il termine “musica elettronica” per convezione, sebbene oggi faccia un po’ ridere rispetto ad alcuni decenni addietro, in quanto molta della popular music odierna appartiene a questa famiglia. Un insieme di considerazioni vanno fatte in quanto sono utili sia in generale e sia perché applicabili a questo lavoro.

            Per intanto la musica elettronica esula dai parametri della teoria musicale e di conseguenza di giudizio rispetto alla musica tonale occidentale tradizionale. Vi è una grande libertà per il compositore rispetto alle scale, alle tonalità, all’armonia, eccetera. Basti solamente considerare che qui si ha un rifiuto della ripetizione; il riff che è un elemento cardine nel rock, trova uno spazio tutt’al più in sequenze, che però non è detto che accompagnino tutto il brano. Inoltre il concetto di durata è del tutto differente rispetto a molti altri generi.

L’aspetto percettivo della musica e successivamente la sua valutazione estetica, è molto vario, complesso e personale. Più che mai questo vale nel disco in questione. La musica qui è unica, irripetibile, dove lo spartito è il disco e dove non vi è un’interpretazione, ma un’unica esecuzione che succede ad una composizione o una improvvisazione. In Farscape inoltre c’è la presenza della voce, una protagonista insieme alle tastiere, ai generatori eccetera. Dopo molte audizioni si possono scoprire dei rapporti, dei legami. Lungo i brani del doppio disco si perde quel nitore tonale cui siamo abituati sin dalla nascita. Il disorientamento può creare prima sconcerto e poi rifiuto. Da parte dell’ascoltatore vi è la necessità di ristrutturare le cognizioni, il modo di fruire dell’evento musicale, dove spesso non vi sono note emesse da strumenti tradizionali, ma emanazioni sonore. I movimenti del disco possono eccitare, oppure rendere inquieti o nervosi, ma anche rilassare. La musica elettronica più che mai penetra nell’inconscio, se l’ascoltatore glielo consente.

            Un altro elemento che emerge in queste musiche è la concezione del tempo. Esiste il tempo musicale e il tempo della vita, cioè quello espresso nel brano musicale e quello di chi sta leggendo queste righe in questi momenti; i tempi che per convenzione sono stati suddivisi e resi misurabili dal sistema temperato o dall’orologio. Talvolta la musica elettronica tende a far coincidere tempo musicale e tempo di vita. Mentre quando si ascolta una canzone, sia essa dei Rolling Stones, dei Pooh o di centomila altri, si esce dal tempo della vita per entrare in uno dei possibili tempi musicali, ascoltando questo album (o molti altri analoghi), si rimane più o meno aderenti a quello del momento che si vive. La musica contenuta in Farscape rende l’idea di voler tendere verso il suono puro, caratteristica presente in buona parte della musica elettronica; l’unione tra i vocalizzi e i sintetizzatori va in questa direzione. La forma dei sette movimenti disegna traiettorie strumentali-vocali, non raggiunge obiettivi di forma chiusa, anzi.

            Il primo movimento è un lungo prologo, dove la voce canta intrecciando vocalizzi e parole incomprensibili. Nella parte centrale una batteria marca gli accenti per poi tornare in chiusura al clima etereo. Nel secondo viene usato l’espediente di far procedere voce, note o accordi di tastiere e percussioni, con indifferenza dell’uno nei confronti degli altri. La vicinanza della musica dei Dead Can Dance si evidenzia nell’uso della voce, negli echi. Il melodiare di Lisa Gerrard si dipana tentando di distendersi, ma sovente viene spezzettato, interrotto o si tramuta in singhiozzo. Il brano, di non facile programmazione radiofonica, dura trentuno minuti; ma è il più lungo del disco. Anche nel terzo vi è una lunga improvvisazione vocale, spesso priva di coerenza con la musica strumentale; viene lasciata la massima libertà alla cantante. Le sequenze sono più veloci. Nel quarto brano vi è un qualcosa che pare un lamento funebre, a tratti persino dialogato, con l’unica voce che si pone domande e risposte.

La musica assume colori particolarmente cupi. Dopo una lunga parte drammatica, il brano diviene omogeneo ai confini con la noia, ma resta una delle migliori Coincidenze liquide. Nel quinto e sesto la lunghezza del lavoro mostra il suo lato peggiore, ossia l’estrema dilatazione, cioè la diluizione della musica: un cucchiaino di sciroppo per un litro d’acqua. D’altro canto questo è un fenomeno purtroppo comune talvolta a molta musica, non solo a quella rock e pop. Certi tratti dei movimenti hanno un tono elegiaco, con un uso dell’effetto di gola; in questi momenti la staticità della musica strumentale lascia alla voce facoltà di spaziare e variare. Interviene più volte una batteria elettronica che tiene un ritmo noioso, per poi scomparire inopinatamente. In questo LP vi sono come variazioni di battiti cardiaci, accelerazioni e rallentamenti e poi ancora aritmie, respiri che vengono trattenuti e fiatoni da affanno.

In questo genere di opera l’ampiezza avrebbe dovuto rimanere in un disco unico, sarebbe stato più digeribile, sebbene ci si renda conto di creare un’ingerenza all’interno della sfera dell’intenzionalità del compositore. A noi ascoltatori è necessaria una consapevolezza nell’accostarsi a Farscape; questo è uno degli scopi della critica, che può legittimare una determinata musica. Oggi la critica musicale sta scomparendo, inghiottita dal mondo commerciale, per cui essa si tramuta in una persuasione all’acquisto. Scritto tutto ciò,  questo album è consigliato solo a chi possiede almeno otto o nove lavori di Klaus Schulze. Per gli altri è meglio iniziare con alcuni classici della sua discografia, dischi di circa trent’anni addietro e valutare se sia il caso di proseguire su questa strada.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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krikka 6/10

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