Battles
La Di Da Di
Looping is the backward of this band, for sure
[ ] repetition is really something interesting to us
Weve always had this idea of keeping in the yin and yang of the sonic spectre
Come premiére dellultimo La Di Da Di, Ableton ha realizzato un breve documentario, poco più di un quarto dora, seguendo i Battles nel loro studio di registrazione ed osservando, con neutralità, alcune delle fasi cruciali del processo di composizione del disco. È una testimonianza che non esitiamo a definire, per svariate ragioni, essenziale, da affiancare allattento ascolto del platter. In primo luogo, per la legge dello ius primae noctis: nessuno si era mai spinto così nellintimo della mente e dellinterazione (variamente psichica, fisica, strumentale) di Dave Konopka, Ian Williams e John Stanier, tre fra i musicisti più importanti ed influenti dellalt rock americano (contenitore bello largo, per dire tutto e niente allo stesso tempo) degli ultimi ventanni. Ancora, perché il terzo full length dei Battles è il primo interamente strumentale (EP desordio a parte) ed il primo composto, da cima a fondo, in assetto da power trio (Gloss Drop, infatti, era stato ridisegnato sul materiale originariamente scritto assieme a Tyondai Braxton): ragione necessaria e sufficiente per drizzare le antenne. Infine, mai come in La Di Da Di la cifra del post-moderno sfonda la quarta parete che separa artefice ed oggetto prodotto: si dovrà parlare di spirali anziché di spezzate, di frattali anziché di poligoni, di un suono che nel maniacale calcolo di ogni minima oscillazione dà vita a combinazioni stilistiche impreviste, finanche inattese.
I dilemmi esiziali possono trovare un suggerimento lenitivo nella Luu Le posta in chiusura di scaletta. È il trionfo del Battles-pensiero, la summa dei loro migliori argomenti: tastiere giocattolo ed arpeggi futuristi a segmentare, svogliatamente, una surreale nenia infarcita di nipponismi, un incrocio genetico fra i carichi-scarichi regolabili di Tonto e limpazzito flipper sonico di Race: Out alla luce, tuttavia, delle strobosfere catchy di Ice Cream e dei singulti di Sundome. Luu Le parte di botto, con la casualità di chi manovra glitch da mane a sera, spegnendosi poi in unimmersione di bassi gradatamente inudibili: i Battles che si spogliano del math rock, rinunciano alle angolature arty e si riscoprono, incredibilmente, kraut. Ossessione e ricorsività. Cè un dialogo totale, ancora più ampio che in passato, tra musica suonata nellimmediato e musica che è stata suonata (ma che, non per questo, si può dire appartenente ad un passato oramai archiviato). La scelta di The Yabba come singolo trainante dellalbum risponde a questesigenza: i Battles che parlano con loro stessi, un pastiche electro infestato di loop (gli slide in bottleneck, le arrampicate atonali, pedali e chincaglieria assortita), esasperante bêtise intellettuale che scotomizza gli estremi antitetici analogico-sintetico per aggiornare, di fatto, lidea di un dancefloor come laboratorio per entomologi, arena di tenzoni (e tensioni) irrisolte.
Dunque: se Mirrored era espressione suprema di limitless creativity (con tutti i pro e i contro della faccenda), e Gloss Drop poteva considerarsi lart pop fatto marshmallow, ci prendiamo la responsabilità di definire La Di Da Di il capitolo teutonico della favola Battles. Invariate le incognite: una curiosità cannibalistica verso ogni approccio, nessuna preclusione, un umore realizzativo costantemente ludico. Sono tutte caratteristiche applicabili, in massimo grado, anche a Mirrored. Se in quei solchi, tuttavia, la rara genialità nel coniugare gli opposti e nel vedere oltre di Braxton spostava lasse della scrittura verso parametri squisitamente jazz (è sufficiente scomporre analiticamente pezzi come Atlas, Ddiamondd e Tij, scrutarne levoluzione, per rendersene conto), qui è altro il genio tirato in ballo: è la maestria dellassemblaggio, contrappuntata naturalmente da una mano invisibile keynesiana che regola i rapporti tra i costituenti. I risultati, in fondo, non differiscono troppo: da un lato si guardava globalmente alla composizione (nel qual caso, le eventuali digressioni rispettavano o violavano una regola compositiva più o meno tacitamente condivisa), oggi si avanza a piccoli passi, per blocchi materici che, incastrandosi fra di loro, erigono lintero edificio-canzone (ma il progetto finale rimane, fino allultimo, indefinito).
FF Bada sembra, letteralmente, scriversi da sola, schiacciata tra bassi e chitarre di altri decenni (i Noughties? Indovinato!) ed arrivando ad un finale che, decontestualizzato, potrebbe persino richiamare alla mente gli Autechre di Chiastic Slide. Vola sulle ali dellart rock con riff elementari, contagiosissimi: la meglio testa e il meglio culo una Dot Com che rovescia, in un battibaleno, il sornione gattonare jungle di Dot Net. Summer Simmer, la più brillante, è una cavalcata progressiva attraverso tornelli da incubo, stridori psichedelici, non-melodie centrifugate da una macchina ritmica inarrestabile: il successivo ribaltamento afro-wave (ma quanto deve piacere lAdrian Belew marchiato Talking Heads?) consente al dinamico Stanier di far esplodere, finalmente, il proprio crash. Il tutto assume proporzioni grottesche, se si prende in considerazione la sbilenca elegia ambientale, immediatamente seguente, di Cacio E Pepe. In Tricentennial, chitarre squillanti come tromboni di una chiassosa banda di paese costruiscono una linea melodica non meno che ayleriana, mentre Stanier e Williams la intrappolano in una letale gabbia doncaballeriana. Larte della ripetizione emerge, in tutta la sua maturità, in una Megatouch che senza variare sensibilmente la propria andatura vira da demenziale noir a drumnbass circense e stonata, a grumo di loop scheletrici: ogni passaggio è propedeutico al successivo, va a penetrare e a conficcarsi in esso, non sapendo cosa succederà da lì a breve.
Un ceffone in faccia a detrattori e malfidenti, La Di Da Di è disco, a suo modo, anarchico e personale come i precedenti. Il godimento, questa volta, è però quasi esclusivamente cerebrale: da cui il voto assegnato, relativamente inferiore.
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