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R Recensione

7,5/10

King Gizzard & The Lizard Wizard

Flying Microtonal Banana

Le allucinazioni competitive che alla famigerata quota 1600 spingono Fantozzi a vantare un passato nella nazionale di sci sono la diretta conseguenza delle ancor più spudorate provocazioni al rialzo di Calboni: un tipo umano universale, sommariamente definibile come cazzaro. Chiunque di noi – sfido a provare il contrario – ha come amico, o perlomeno conoscente, un cazzaro. Il cazzaro, attenzione!, non è semplicemente un contaballe, anche se la fenomenologia della frottola gli risulta particolarmente congeniale. Cazzaro è, certamente, chi le spara grosse, chi inventa storie inverosimili ed iperboliche per risultare agli occhi degli altri chi non è, ma anche chi adultera la realtà con frizioni di assoluto possibilismo, ideando scenari che – in linea di massima – potrebbero anche essere veri. È questa verosimiglianza che rende possibile assolvere il cazzaro colto in flagrante: le sue sono bugie divertenti e, per l’appunto, abbastanza aderenti alla realtà da non suonare inutilmente invadenti.

Mettiamo ora caso che frequentiate un giro in cui ci sia un tipo strano, un Aussie completamente sciroccato, il leader di una squinternata combriccola musicale. Siete ad un party, una di quelle feste ingessate e abbastanza noiose in cui si gioca tutto il tempo alle rispettive parti sociali, quando all’improvviso questo se ne salta fuori dicendo che lui e la sua band hanno intenzione di scrivere e pubblicare cinque dischi nel corso dell’anno successivo. Una piccola sospensione di incredulità, e poi la bomba, sganciata con noncuranza: il primo di cinque sarà suonato interamente con strumenti microtonali. L’imbarazzo, a questo punto, è palpabile: roba da rendere il mitico dialogo tra Mike Bongiorno e John Cage una piacevole conversazione tra colleghi di lavoro. Cazzaro!, è lo spontaneo, silenziosissimo urlo che deflagra nelle sinapsi dei presenti. Se non fosse che, effettivamente, in appena cinque anni Stu Mackenzie e colleghi al seguito hanno già inanellato un invidiabile bottino di otto full lengths (!): e che, tra le assolate sozzure di “12 Bar Bruise”, i vortici garage di “I’m In Your Mind Fuzz”, le visioni bucoliche di “Paper Mâché Dream Balloon”, le suite di “Quarters!” e le ossessionanti iterazioni di “Nonagon Infinity”, già non si contino più i rivoltolamenti stilistici e le variazioni su tema. Stai a vedere: che il cazzaro l’abbia contata giusta?

L’ha contata giusta eccome. Anche se lo stimolo di base per addentrarsi nella selva oscura della musica microtonale ci rimane sconosciuto, “Flying Microtonal Banana” (titolo geniale!) mantiene tutte le promesse di cui si fa portatore. Non parliamo dell’intento, di per sé sufficientemente bizzarro da meritare la giusta attenzione: è il disco in sé ad essere straordinariamente riuscito, per il fatto di mantenere inalterata la cifra caratteristica della band e, al contempo, suonare assolutamente nuovo. E a proposito di suono… Stranezze etnomusicologiche a parte, “Flying Microtonal Banana” sembra riprendere ed espandere il ricorsivo approccio kraut del precedente “Nonagon Infinity”, accentuando l’indeterminatezza delle soluzioni a scapito della loro superficiale heavyness (parziale eccezione è a carico del wah cartoonesco e parodistico che infiocchetta i rallentamenti di “Doom City”). A sbocciare sono, pertanto, l’arab-motorik in espansione totale di “Rattlesnake” (con le armoniche in poltiglia di Ambrose Kenny-Smith che suggeriscono, ben prima di avventurose incursioni nei suq, certi francobolli…), il tonitruante adhān di “Open Water” (fondamentale la doppia batteria di Eric Moore e Michael Cavanagh), gli stolidi turbamenti funk di “Nuclear Fusion” e lo psych rock assonnato e fumigante di “Sleep Drifter” che, in vari suoi passaggi, sembra ricalcare la melodia del traditional turco “Kara Toprak” (opera del bardo Âşık Veysel Şatıroğlu).

Mai farsi ingannare dalle apparenze, una volta di più: i King Gizzard & The Lizard Wizard, pur beandosi della fama di enfants prodige del neo-garage, sono una formazione dotata di qualità tecniche e compositive ben superiori alla media del genere – vi sarà sufficiente assaggiare uno degli innumerevoli live di cui stanno inondando i canali ufficiali per rendervene conto (noi, ad esempio, suggeriamo questo) o, in alternativa, buttare un orecchio a uno dei risultati più luminosi della loro infaticabile ricerca, l’irresistibile samba microtonale di “Melting” (Ty Ty, good bye…). Quanti dei loro diretti avversari sono in grado di evocare il riff di “Iron Man” in una “Anoxia” che potrebbe sonorizzare il perduto Maldoror cavalloniano? Chi se la sentirebbe di chiudere il disco sulle note della title track, un rāga da catalogo che rielabora in 7/8 tutti i principali snodi melodici del platter? Ve lo anticipiamo noi: nessuno.

Per fortuna che il rock è morto, ammazzato, sepolto. Pensate se fosse ancora alive and kicking

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