Sand
Golem
Germania 1972: l'era del Kraut-Rock era già iniziata,quando un gruppo di musicisti sassoni,freschi dalle manifestazioni studentesche che impazzavano ovunque,debuttarono come spalla ai Can,nell'industriale Colonia, col nome Part of the Time;le performances dei fratelli Papenburg & company,unite alle bizzarre e audaci sperimentazioni vocali di Johannes Vester,impressionarono il manager dei Can Manfred Schmidt a tal punto,che dopo la defezione dell'organista e del batterista dei Part of the Time,introdusse i restanti Papenburg e Vester alla corte di Klaus Schulz.E proprio questa eminenza grigia del rock,allora alle prese con complesse e argute prove di avanguardia musicale di derivazione "Stockhauseniana" e con nuove tecniche di registrazione,produsse il primo LP dei tre artisti per la Delta Acoustics.
E fu la nascita dei Sand e del loro "Golem";l'impronta cosmica di Schulze presente nelle extended ballads dell'album non potevano trovare connubio migliore nelle vocals lisergiche,distorte (grazie al VCS 3)di Vester,il tutto volto a creare un'atmosfera cupa,fuori dal tempo e dallo spazio,come nel pezzo d'apertura "Hellacopter";è il basso ripetitivo di Uli Papenburg a scandire uno pseudo cantato sciamanico,in una rivelazione quasi da apocalisse,intorno a cui aleggiano planetari riverberi del synthesizer di Ludwig Papenburg,che si protraggono e si fondono nel successivo "Old loggerhead"oscuro e alienante racconto,in cui persino la pronuncia dello stesso Vester sembra derivare da altri mondi.
Di notevole impatto è la ballata "May rain"(coverizzata dagli esoterici Current 93),che di primaverile ha ben poco;è anzi un'invernale chitarra acustica a condurre il pezzo,e le malinconiche vocals che nel timbro ricordano Mick Jagger(!)si dipanano sopra soffusi echi di synths che sanno quasi di aurora boreale.Tribale è la drum-machine di "On the corner",repentini ma sapientemente mixati sono i cambi ritmici a dispetto di una costante bass-line,su cui spazia uno stranissimo canto,a tratti volutamente stonato.Un suggestivo ambient,ricreato da un gioco di effetti e riverberi delle lead vocals a cui si sovrappongono eterei echi femminili è la track "Sarah";notturna,leggera,quasi un'evocazione-manifestazione di qualche affascinante spirito.Altri pezzi,recuperati e tratti da "Born at down",completano l'inimitabile e a tratti di difficile comprensione mosaico dei Sand: come l'ossessiva "Per Aspera ad astra",unica,modulata ma via via sempre più opprimente e claustrofobica pulsazione elettronica.
Di stampo quasi folk,ma rivisitato e corretto alla maniera Sand è "Doncha Feel",introspettivo ma dalle psicotiche nervature;la breve,lineare "Burning Home",eseguita solo da strumenti acustici è un ulteriore esempio di come questo gruppo possa creare,con pochi tocchi,un album eterogeneo. Un folk psichedelico invece è quello che permea la meravigliosa,lunare ballata "Moonlight Love":la sezione delle chitarre,volta ad imitare perfettamente il sitar e un pianoforte struggente,accompagnano l'evocativa,dolcissima melodia vocale:sono i figli del chiar di luna che con le loro danze e i loro sogni fugano le tenebre dal cielo e le lacrime dal cuore;è un paragrafo irripetibile e una commovente fiaba hippy.
Ancora una mutazione di prospettiva e di stile :la precedente favola psichedelica viene spazzata via dalla finale,soffocante "Desert Storm",lunga e ipnotica digressione interamente a base di synth e moog,che non lascia spazio a nessun moto dell'anima se non ad un rovente deserto interiore. In quel periodo di fermento la Delta Acoustics pubblicò contemporaneamente ai Sand altre sperimentazioni musicali che costituivano l'essenza stessa del genere Kraut-Rock; tuttavia,benché non possano essere annoverati fra i più conosciuti,sicuramente i Sand rimasero,e rimangono tutt'ora i più affascinanti nella loro complessa semplicità.
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