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R Recensione

7/10

Zodiac Free Arts Club

Floating World

Un tempo ormai lontano tre musicisti, Conrad Schnitzler, Hans-Joachim Roedelius e Boris Schaak, fondarono insieme un locale dove chiunque avesse la possibilità di suonare liberamente spinto dall'irrefrenabile desiderio della ricerca in musica. Al suo interno c'era ogni tipo di strumentazione (altoparlanti, speaker...) ed era diviso in due aree principali: una pitturata interamente di nero, l'altra di bianco. Una sorta di yin e yang, uno il “lato in ombra della collina”, l'altro il “lato soleggiato della collina”. Un simbolo potente e adattissimo a descrivere lo spirito “free” del club. Free jazz, rock psichedelico, avanguardia con un minimo comune multiplo: sperimentazione ardita.

Era il 1967 e fondarono lo Zodiac Free Arts Club, altrimenti chiamato più brevemente “Zodiac Club”. Furono molti gli artisti che vi passarono le loro giornate, dai Tangerine Dream agli Agitation Free passando per gli Ash Ra Tempel. Il movimento musicale tedesco di quegli anni deve tanto a questo locale cosi come il produttore e deejay greco Argy che ha deciso di rispolverare il nome dell'antico club e riportare in auge il suo spirito kraut lasciando libero accesso al suo spazio a Berlino per amici o meno amici musicisti. Da questo enorme pentolone di anime creative sono nate delle fantastiche jam sessions dal sapore spiccatamente retrò con una strizzatina d'occhio alla scena elettronica minimale da cui Argy proviene, il tutto senza sfociare nella banalità o nella mera e stantia scopiazzatura. "Floating World" parte subito con l'incedere minimale di “Celephais” che si evolve in una chitarra tipicamente floydiana sovrastata da una nube di ghirigori elettronici. L'introspezione rilassata di “N.A.O.E.” ricorda il talentuoso David Gilmour e la ritmata “Sonntags in Altona” che inizialmente porta alla memoria i più recenti Zombie Zombie si scopre un piccolo tributo ai Neu di "Neu! 75" o al Michael Rother solista. “Lindos Express” è minimalismo cosmico alla Tangerine Dream mentre il punto più basso è forse “Ordre du Temple Solaire”, che più che omaggiare il sole sembra rifarsi ai canti che sentì Semola quando estrasse la Spada nella Roccia. Ma ricordiamoci che stiamo ascoltando un omaggio ai tempi che furono, e cosa non bisogna aspettarsi se non le navicelle degli Space Invaders che attaccano la terra in “Meteora”?. La title-track è un delizioso pattern ritmico che si occupa di nascondere un synth profondo che sembra preso direttamente da “Aut Riche” (Autechre) per poi spegnersi anch'essa nel dolce riposo che preannuncia la chitarra.

"Floating World" si conclude con la classicheggiante “Iridescent Love Triangle” e una sentita dimostrazione di rispetto per i Popol Vuh (“Ein Lied fur Popol Vuh”), e - nonostante non brilli in originalità - l'album serba un fascino tutto particolare. Forse il suo più grande pregio è la brevità dei pezzi che mai si dilungano eccessivamente evitando la noia o la pesantezza. Un'opera sentitamente consigliata da sviscerare e assorbire con attenzione.

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synth_charmer alle 0:23 del 2 giugno 2011 ha scritto:

Butto qui un feedback, visto che lo chiedevi l'altra volta: sei bravo, michele parli dei dischi e ti concentri sulle analisi, cosa sempre importante. Magari hai oggi uno stile spesso romanzato, a maglie larghe, è probabile che col tempo acquisirai un taglio più giornalistico e serrato è un'evoluzione naturale che capita più o meno a tutti. Ma stai andando bene, vai tranquillo e non fermarti

keolce, autore, alle 11:26 del 2 giugno 2011 ha scritto:

grazie synth per il feedback, vedrò di farne tesoro