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R Recensione

6,5/10

23 and Beyond the Infinite

Faces From The Ancient Gallery

Italy goes stoner, part IV (?)

May I have your attention, please? Molto bene. Ed ora, tanto per cominciare: questo non è un disco stoner. Non ci va nemmeno vicino. Che non vi passi per l’anticamera del cervello l’idea di sparare più in alto. Distorsioni ne abbiamo? Come no. Ma chiedete ai beneventani 23 And Beyond The Infinite se abbiano interiorizzato i mostri elettrici di Jus Oborn o le freaketterie di Roky Erickson, se si siano incaponiti sui perfetti meccanismi robotici della chitarra di Josh Homme o se, piuttosto, si siano consacrati al culto di Jason Pierce. La risposta sarà unica ed inequivocabile. Una forzatura, allora, farli partecipare alla nostra breve rassegna dello stoner made in Italy? Esteriormente, formalmente, sì. Al livello sottostante, analitico, descrittivo, decisamente no. La neopsichedelia di “Faces From The Ancient Gallery”, pur non essendo stoner, si riflette incredibilmente in esso.

Bruciante, inaspettato l’attacco: “Dumbo Gets Drunk” schianta deliberatamente l’astratta tarantella delle prime battute su una corazzata di noise chitarristico (le free forms dei Red Crayola?) inacidita da un delirante condimento tastieristico, uno stonato motivetto barrettiano che piacerebbe al fu Samuel Katarro di “Beach Party”. È il primo e uno degli ultimi sussulti di un disco che nella narcolessi, nell’iterazione, nell’esplorazione cromatica, finanche vintage, trova perpetua linfa e spinta centripeta. “It Isn’t Over” riporta l’orologio della psichedelia indietro di cinquant’anni, con la tipica grana, vagamente scentrata, di un paio di indolentissime sei corde. Consunta dal riverbero è “Ariel And The Rejected Angels”, uno shoegaze che collega fra loro i Velvet Underground (il minimalismo di Angelo Zampelli, alla batteria, ricorda Maureen Tucker) e i Loop: se aggiungeste un distorsore otterreste, con ogni probabilità, gli Sleep. Selezionati ascessi dalla sezione disarmonica della Thrill Jockey sfrangiano i bassi kraut di “Dancing The Light”: ancora, l’r’n’r stravolto di “Nobody’s In The River” divaga su suggerimenti psych old school vicinissimi alle più caustiche produzioni stoner. Su una manciata di arpeggi levitanti si inseriscono le nenie e i vandalismi per wah di “Child Sad Eyes”, una delle più notevoli per scrittura e tenuta sulla lunga distanza: più sfiancante è la danza à la Jefferson Airplane di “Sons Of Cornucopia”.

Consci della difficoltà teorica della nostra indagine, ma altrettanto certi che sarà un inevitabile punto di partenza per molte ricerche future (così come il quattro, numero stabile par excellence, regolarizza il tre, intrinsecamente zoppicante), per questa volta ci fermiamo qui. Atipica band per atipico disco, i 23 And Beyond The Infinite di “Faces From The Ancient Gallery”, al netto di una non sempre agevole fruibilità, dimostrano come stoner possa essere, ben prima di mera etichetta critica, predefinito schema mentale.

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