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R Recensione

8,5/10

Forest Swords

Engravings

Erano bastati due ep pubblicati tra 2009 e 2010 ad attirare l’attenzione su Matthew Barnes, aka Forest Swords, ma lo schivo ragazzo del Wirral, invece di cavalcare l’onda, decise di defilarsi, dedicarsi al lavoro e sospendere la ricerca musicale, accarezzando pure il pensiero di mollare tutto, anche a causa di fastidiosi problemi all’udito che rendevano frustranti i suoi sforzi compositivi. Poi, l’anno scorso, una comparsata in una compilation della No Pain In Pop come Dyymond Of Durham (“Hunger”), e nient’altro. Vero control freak, maniaco perfezionista e convinto di doversi esporre soltanto quando lo si può fare secondo i propri termini e dando una prospettiva artistica completa, Barnes ha ritrovato solo quest’anno la quadratura del cerchio, sotto la Tri Angle, e il lavoro che ne esce è una conferma del suo talento e della sua piena originalità nel quadro musicale di oggi.

E non è un caso che la cifra personale sia conquistata con uno scavo quasi folkloristico nella propria marginalità. Niente Londra, niente metropoli, niente scene musicali. “Engravings” nasce come isolata immersione sonora nel Merseyside e nella penisola del Wirral, di cui vuole offrire una sorta di cassa di risonanza, recuperandone le radici e la storia. Per paradosso, e per la grazia dell’esito finale, lo fa usando l’elettronica.

Ne esce un disco pieno di un fascino pagano e coperto dalla stessa patina arcaica dei miti e delle leggende, eppure assurdamente ahead of its time, pronto a sfoggiare samples, tricks nel missaggio, ascendenze dub e trip-hop, hauntologie varie, e – più che negli ep – manipolazioni sperimentali. Impossibile, per una volta, usare etichette. Tanto più che categorie come neo-psichedelia, dub ambient o drone-step vengono spazzate dai continui addentellati melodici con cui Forest Swords sente il bisogno di intessere i propri brani, che come nel passato si costruiscono su giri di chitarra twang fatti vorticare in modo ipnotico e intersecati con altri arpeggi di effetti spesso spiazzanti, mentre il basso (Peaking Lights maestri) mescola e manda tutto nella gloria del suo groove. Sotto, beat pesantemente riverberati e sempre pronti alla sponda tribale.

Il lato A, in particolare, più in continuità con i pezzi di "Dagger Paths", offre momenti, in questo senso, spettacolari, tra l'epica primitiva di "Ljoss”, la suggestione amerinda di “Irby Tremor” e i corni ancestrali su cui si piazza, come un menhir, il monumento di “Thor’s Stone”. “The Weight of Gold”, poi, innalza la tecnica a capolavoro, specie di “The Box” degli Orbital del nuovo millennio, spostata dalla città alla costa più selvaggia, nei frastagli che creano i samples, i beat spezzati e la malinconia degli arpeggi.

E tuttavia è più minimalista, “Engravings”, rispetto alle cose precedenti di Barnes: sulla tavolozza bastano pochi colori, sempre ben riconoscibili. Cose come “Onward” o “Gathering” erano difficili da prevedere qua dentro: il primo è fatto solo di una tagliola percussiva su cui si incastra come su una mortasa un cesello melodico finissimo, poi alzato dalle tastiere finali in un bagno di luce crepuscolare di intensità pazzesca (la meraviglia, quando spuntano i tamburi), mentre al secondo basta il cut’n’paste rosicato di inserti vocali resi spettrali detriti r’n’b e un’apertura con un piano ambient house e un basso portishediano per incantare. Neppure la chitarra è più necessaria, a Barnes, tanto che nel lato B la spunta piuttosto il piano ("An Hour", “The Plumes”), mentre “Friend, You Will Never Learn”, nei suoi otto minuti finali di godimento puro su un ritmo alto sincopato che però nel primo segmento ammicca ai 4/4 in versione disco, lascia intravedere nuovi sviluppi più strutturati, quasi orchestrali (o tipo Nicolas Jaar che si dà al post rock, toh).

Sembra un casino, sì. Ma tutto si tiene. Come un rituale segreto visto in mezzo alla brughiera. E a prevalere, un po’ a sorpresa, non sono i toni vespertini e funebri, ma una specie di potenza e, boh, di purezza. Tra i dischi dell’anno, e non solo di quest’anno.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 14 voti.
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rubiset 7,5/10
cnmarcy 8,5/10
4AS 7/10
motek 5,5/10
creep 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

Ci sono 11 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 12:47 del 26 agosto 2013 ha scritto:

Che meraviglia. Ripasso per il votone....

casadivetro alle 20:35 del 26 agosto 2013 ha scritto:

bellissimo

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 14:10 del 28 agosto 2013 ha scritto:

Al primo ascolto mi sembra molto, molto bello. Riuscitissima e centrata la recensione.

TexasGin_82 (ha votato 5 questo disco) alle 17:15 del 28 agosto 2013 ha scritto:

Sonorità interessanti e sicuramente originali, ma le canzoni mi sembrano un po' ripetitive e la loro "trama" piuttosto scontata. E' un album piacevole, però, mentre lo ascolto, non c'è mai un passaggio che mi stupisca davvero. La costruzione delle canzoni mi sembra piuttosto semplice. Non so, sinceramente non mi sembra un disco da "votone", almeno al primo ascolto, comunque lo riascolterò sicuramente prima di dare il mio.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 22:12 del 20 settembre 2013 ha scritto:

A me piace molto, ma cercando di essere oggettivo non riesco a darti torto. E' tutto molto semplice, a volte impalpabile e indefinito. Se ti piace l'atmosfera che creano lo apprezzi per quello, altrimenti non ci troverai niente di interessante, E' una questione di gusto, ognuno ha il suo, grazie a Dio. Quelli che hanno bisogno di parametri oggetti si avvicinano alla musica come si avvicinano al banco della ferramenta, mi fanno venire i brividi.

TexasGin_82 (ha votato 5 questo disco) alle 11:42 del 25 settembre 2013 ha scritto:

Haha! Sbaglio o ce l'hai con me? Comunque bello il paragone col ferramenta. Lo condivido. Però dai, se si vuole discutere, qualche parametro bisogna fissarlo. Altrimenti l'unico tipo di dibattito possibile sarebbe "a me piace - a me no - però a me sì - eh ma a me invece no".

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 15:39 del 25 settembre 2013 ha scritto:

Ah sì qualche parametro fisso è meglio averlo, altrimenti saltano fuori tizi che dicono che i Beatles non hanno avuto alcun ruolo nella storia della musica...

Franz Bungaro (ha votato 8 questo disco) alle 20:53 del 24 settembre 2013 ha scritto:

Ottimo.

Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 14:56 del 2 ottobre 2013 ha scritto:

bel disco, da consultare ogni tanto, così come il predecessore. alcuni passaggi (quelli senza percussioni) mi riportano alla mente gli Orb psych-space dei primissimi anni '90. e tiè ci metto anche l'atmosfera dei talk talk.

4AS (ha votato 7 questo disco) alle 15:56 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

Strutture essenzialmente semplici e suoni primitivi intrisi di modernità dubstep. Il risultato è positivo, anche quando si imbatte in soluzioni più complicate (l'evoluzione di "Onward", con quella seconda parte che si innalza e si libera dalla freddezza della prima).