Pink Mountaintops
Axis Of Evol
C’è un cielo grigio pieno di nuvole sopra la testa di Steve McBeand e della sua seconda creatura, i Pink Mountaintops, ma è una pioggia a lungo attesa quella che porta con sé Axis of Evol.
Accantonati temporaneamente i Black Mountain il chitarrista canadese si concentra sul suo progetto più oscuro e istintivo.
Una volta si chiamava psichedelia, ma questo disco ha proprio il merito di poter guardare indietro e non vergognarsi affatto di essere più giovane di una quarantina d’anni dei suoi maestri. Si potrebbe definire mancanza di originalità, ma siamo onesti, ormai ci siamo abituati a risentire l’eco del passato, che sia sporco o che sia dolce, e quando qualcuno come i Pink Mountaintops trovano una “chiave di rilettura” densa, complessa e affascinante come Axis of Evol c’è solo da guardare avanti e sperare in una prossima e altrettanto interessante uscita.
Un disco che trova coerenza attraverso le sofferte ballate che ci accompagnano (Comas) e ci salutano (How We Can Get Free) e che fungono idealmente da confini dentro i quali si scatenano le ridondanti e disturbate Slaves (e qui c’è tutto il sudore degli Stooges)e la velvetianaCold Criminal, l’ispirata, visionaria e evocativa Lord, Let Us Shine, il country blues elettrificato e dolorante di Plastic Man, You’re The Evil, la wave breve e tagliente di New Drug Queens.
I richiami ci sono, come negarlo, ma è vero pure che questo secondo lavoro firmato Pink Mountaintops non ammicca proprio a nessuno e tira fuori gli aspetti più cupi e schizoidi di un autore come Steve McBeand, che riesce a creare un insieme di canzoni che vanno ben oltre ciò che possono evocare dopo alcuni secondi di ascolto.
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