R Recensione

5/10

The Aliens

Astronomy For Dogs

La storia di Gordon Anderson potrebbe rievocare, con un po’ di fantasia, precedenti illustri: membro fondatore del gruppo neo psichedelico inglese Beta Band, allontanato per motivi di grave instabilità mentale dalla band … Verrebbe naturale pensare a Syd Barrett, non vi fossero, a dividere le due storie, tre decenni, un evidente gap di statura tra le due bands e, per quanto riguarda Anderson, una sorta di lieto fine. Se così si può dire.

Perché, a tre anni dallo scioglimento della Beta Band, Anderson recupera dalle ceneri del gruppo Robin Jones e John MacLean, rispettivamente batterista e tastierista della band scozzese, e dà vita agli Aliens. Naturale aspettarsi una sorta di sequel sonoro delle gesta dei Beta Bandidos, ancor più naturale rimanere delusi dell’incipit Setting Sun che, oltre a ribadire ossessivamente la nuova ragione sociale del gruppo, si premura anche di aprire le danze del disco.

Apparentemente un outtake della produzione inglese pop rock psichedelica anni ’60, richiami generosi a Beatles e Turtles, farfisa e coretti, un giro che sta tra California Dreamin’ e Dont’ Fear The Ripper, il ricordo della Beta Band ridotta a mera suggestione.

È l’attacco di un disco innamorato perdutamente della psichedelia pop e del vintage: tra lo strano ibrido funk-Beatles-Primal Scream di Robot Man e l’outtake Byrdsiano di Tomorrow, tra una rilettura glam della psych di Revolver (Only Waiting) e una Glover che serpeggia tra Kinks, Turtles e Doors trovano comunque spazio anche alcune variazioni sul tema.

Si ascolti Rox, con la sua miscela di gospel, country ed elettronica, che pare voler far rivivere i Primal Scream di 10 anni fa o il fugace skunk rock di Scott 4 ed Alabama 3, o Caravan, dilatato mantra country blues che risulta anche essere uno dei pezzi migliori del disco. Disco che, ahinoi, tende perlopiù a lasciare freddini.

L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una riesumazione conservatrice della Beta Band, dieci anni dopo, con un velo nostalgico a coprire gli occhi ed una vena naif che sacrifica quel pizzico di cinismo sonoro che rendeva il gruppo scozzese speciale: se le alchimie sonore ricreate hanno perso col tempo gran parte del loro tocco esplosivo, l’impressione generale è quella di avere a che fare con un gruppo di freak persi in un vortice spazio temporale.

Consigliato ad eterni nostalgici e feticisti del revivalismo sonoro spinto.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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REBBY 7/10

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