The Flaming Lips
The Terror
Dopo 30 anni di carriera e un curriculum invidiabile che include classici imprescindibili (The Soft Bulletin, Yoshimi Battles the Pink Robots), svolte più dichiaratamente pop che coincidono con grandi successi commercial (la hit She Don't Use Jelly), discussi rifacimenti di pietre miliari della musica (The Dark Side of the Moon) ed esperimenti al limite del pensabile come il Guinness World Record per il più alto numero di concerti eseguiti nell'arco di 24 ore o il colossale Strobo Trip, a cui molti si sono volontariamente sottratti per mancanza di coraggio, a oggi è veramente difficile, se non impossibile, prevedere le mosse di un gruppo come i Flaming Lips.
Se si esclude l'album di collaborazioni The Flaming Lips and Heady Fwends dell'anno scorso, risale ormai a 4 anni fa l'ultimo misterioso, affascinante e per molti versi inafferrabile capolavoro Embryonic. Ci avevano lasciati spiazzati, sconcertati ma anche parecchio estasiati. E non ci si orientava più di tanto nell'inedita impostazione che Wayne Coyne stava dando al gruppo. Le 20 tracce del disco esprimevano, ognuna a modo proprio, unidea di musica fino a quel momento propria soprattutto a grandi del passato come Pink Floyd o Genesis, con il valore aggiunto di più di ventanni di sperimentazioni e influenze che spaziano dalla psichedelia allutilizzo massiccio di sintetizzatori. Si mise da parte la "forma canzone" senza però mai perdere di vista una incredibile compattezza generale. Era qualcosa di nuovo, di enorme, che non tutti afferrarono fin da subito. Ma era innegabile che quella che stava succedendo fosse una svolta sostanziale. Complice anche la recente esperienza del loro storico produttore Dave Fridmann con progetti come MGMT e Tame Impala, si notò con sorpresa e stupore (e si nota lo stesso oggi con The Terror) la grande predisposizione al rinnovamento di un gruppo che non aveva nessuna intenzione di "stare al passo coi tempi", come si usa spesso dire facendo di tutta l'erba un fascio, quanto più di seguire, rischiando, la propria unica e personalissima strada anche a costo di non piacere a tutti.
Messi da parte, come già successe in Embryonic, i deliri ritmici tanto cari agli affezionati di Yoshimi Battles the Pink Robots, in The Terror dominano tempi decisamente più dilatati del solito. Ma si tratta prima di tutto di una scelta formale ben precisa. Rispetto ad Embryonic infatti, è molto più distinta l'individualità delle singole tracce, ma non vi è, in nessun caso, alcuna tendenza alla sintesi. I riff si ripetono spesso in loop, come un continuo affanno, a volte interminabili (i 13 minuti di You Lust, giustificati o meno che siano, fanno sicuramente il loro effetto), così come anche i battiti, che nella folgorante e visionaria Be Free, A Way assomigliano ad un cuore in tachicardia. E non è un caso. The terror infatti è un disco cupo, duro e difficile da assimilare.
Dolorante e faticoso nel suo lento incedere da una traccia all'altra, straziante nella sua assoluta mancanza di speranza. Non cè alcuna esplosione, nessun punto di sfogo, nessun impulso di liberazione dal dolore. Si preferisce galleggiare in un mood meditativo e malinconico (Try To Explain), a tratti soffocante per la saturazione di suoni sintetici (The Terror), a tratti emozionante per il senso di rivalsa represso (Butterly, How Long It Takes To Die), trattenuto e presto sostituito da sentimenti quali l'ansia, la paura di sé, la rabbia e, forse, la violenza (Turning Violent). Ciò che è innegabile in ogni caso è che si tratti di un lavoro denso di sentimento dal primo all'ultimo secondo.
Forse addirittura più di ogni altro lavoro fatto in precedenza. Sì, perché sebbene in passato la sensibilità e la natura intimista del gruppo fossero evidenti nei contenuti ma comunque sempre subordinate alla struttura delle canzoni, mai come in questo caso la ragion dessere stessa del disco è imprescindibile dalla sua carica emozionale, tanto da mettere in secondo piano ogni aspetto meramente formale. Ed è così che lascolto si realizza alla stregua di un sogno, come un impulso emotivo incontrollato e involontario che senza una direzione ben precisa diventa lentamente realtà.
Di fatto The Terror non è, come hanno scritto in molti, un disco statico e monocorde. Al contrario, la sua forza espressiva sta proprio nella sua natura dinamica e stratificata che, progredendo nella propria spirale intellettuale ed emotiva, si rivela traccia dopo traccia mettendosi continuamente in discussione, fino a spogliarsi completamente. E questo suo progredire in una scala emozionale priva di filtri e mediazioni turba per la sua immediatezza e lascia il segno per la sua spietata onestà. Sarebbe stato facile per un gruppo come i Flaming Lips, già di per sé avvolto in un alone quasi divinatorio, rendere la propria immagine un brand, un prodotto di consumo, come è successo un po con quasi tutte le grandi scoperte mediatiche a cavallo tra i 90 e gli 00 (la nuvola di fumo lasciata dagli Strokes in questo senso è esemplare), ma come al solito non si finisce mai di stupirsi. E The Terror, che lo si voglia o no, è lennesimo tassello imprescindibile di una carriera fatta di coerenza, eclettismo ed amore incondizionato verso la propria arte.
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