The Warlocks
Heavy deavy skull lover
I Warlocks arrivano alla quarta fatica sulla lunga distanza e bisogna ammettere che questa era unuscita che si aspettava con ansia dopo dischi del calibro di Rise and Fall, Phoenix e Surgery, tutti e tre apprezzabilissimi pur tra alti e bassi. Piacciono i Warlocks perché sono uno di quei gruppi capaci di tuffarsi a capofitto nella giungla psichedelica dei 70s e di uscirne rinvigoriti, con tante idee per la testa che al contrario di tanti altre band, non puzzano poi di già sentito in maniera imbarazzante.
Certo, di rimandi ce ne sono ovviamente, e non si può non constatare che senza formazioni storiche come Hawkwind, Pink Floyd, Spacemen 3 e una fetta notevole di kraut-rock difficilmente saremmo qui a parlare dei Warlocks come di uno dei gruppi più importanti della neo-psichedelia "che conta" di questi ultimi quindici anni. Dopo la parentesi di Surgery, pubblicato per la major Mute e strutturato su un suono più soft il gruppo torna nel circuito underground entrando nella Tee Pee, una delle migliori case discografiche specializzate nella nuova psichedelia (Sleep, Brian Jonestown Massacre, Earthless per fare qualche nome).
Ne viene fuori un disco allucinato, che spazia su lunghe suite space-rock irrobustite da una buona dose di distorsioni fini a sé stesse a fare da sfondo continuo. Ma dietro il feedback cè una inconsueta dolcezza e una raffinata sensibilità, che solo a tratti dà limpressione di stanchezza e carenza di idee (Dreamless days, Death I hear you walking). The valley of death è un esempio riuscitissimo di questo meraviglioso intreccio tra una chitarra scarna e ruvida ma elaborata e un cantato soffice e suadente, in una morbidezza che fa pensare ai Soundtrack of our Lives in versione heavy
Forse a volte ci si perde e qualche passaggio a vuoto cè, ma nel complesso i dieci minuti di Moving mountains sono esaltanti, specie nella devastante accelerazione finale. A cambiare registro si trova anche una buona dose di shoegaze (So paranoid) con ampi rimandi anche alla claustrofobia dei Jesus and Mary Chain rivista in chiave heavy-psycho (Slip beneath). E tra tirate rabbiose (Zombie like lovers) e inquietanti (Interludi in reverse) si arriva al termine di un viaggio che assume le sembianze di un grosso trip cinetico.
E nonostante rimanga limpressione di qualche pausa a vuoto di troppo non si può certo dire di essere rimasti insoddisfatti.
Tweet