Glasvegas
Euphoric /// Heartbreak
Confesso di aver avuto un brutto presentimento subito dopo l'ascolto del singolo "Euphoria, Take My Hand", quel riff che ricordava tanto i Ricchi e Poveri quanto Umberto Tozzi, mi sono detto "se questo è il pezzo migliore figuriamoci gli altri!". Poi ottimisticamente ho pensato che la scelta poteva essere stata dettata, più da una (molto) presunta orecchiabilità, che da una questione di qualità. Ed invece dopo il primo ascolto ho tragicamente appurato che sì, "Euphoria, Take My Hand" era il brano più brutto del lotto, ma il problema era proprio questo!
Mi spiego meglio: tempo fa, recensendo in maniera moderatamente entusiasta l'esordio dei Glasvegas, avevo chiuso in questo modo: "un'opera che trae tutta la sua forza dall'omogeneità di un suono non originale ma molto personale che, se ripresentato in futuro, perderà inevitabilmente l'impatto attuale; saranno ancora capaci di stupirci con effetti (quasi) speciali?". E la risposta è stata ovviamente negativa. Infatti il problema più grosso di "Euphoric /// Heartbreak" è proprio una totale mancanza di cambiamento dall'album precedente. Una scelta che ha dato vita, nella maggior parte dei casi a pezzi troppo simili alle canzoni del 2008, ed in altri episodi, come in "Euphoria, Take My Hand" dove gli scozzesi hanno calcato troppo la mano, a pezzi oggettivamente brutti.
Col senno di poi, mi rendo conto che per un gruppo così derivativo non era cosa semplice l'impresa del secondo album. Una volta riportati alla mente di noi musicofili grandi nomi come The Jesus And Mary Chain, Whipping Boy, My Bloody Valentine, c'era bisogno di tirar fuori qualcosa di personale per non venir archiviati immediatamente come l'ennesima clone band. Inoltre nell'esordio del 2008 c'erano le canzoni a supportare una tecnica ed un'originalità latente, almeno sette brani sopra la media. Al suo cospetto "Euphoric /// Heartbreak" sembra una poco riuscita raccolta di fiacche b/sides, nel migliore dei casi, e di esperimenti falliti in altri.
Il disco, dopo la finta partenza di "Pain Pain Never Again", si apre con "The World Is Yours" e già scorgiamo le prime magagne: il sound e le atmosfere sono le medesime delle canzoni passate, ma il pezzo sembra non avere una propria direzione e cerca solo di arrivare il più in fretta possibile ad un ritornello, che si rivela anch'esso forzato e fiacco, e fa trovare eccessivi cinque minuti per un pezzo già all'inizio è emblematico. Con "You" si ripresentano tali e quali le pecche sopraelencate ma il tutto è addirittura più moscio mentre la situazione precipita con la seguente "Shine Like Stars". Qui un'improbabile elettronica fa sbandare addirittura il cantato di Allan, di solito affidabile e puntuale. Le cose migliorano moderatamente con la ballatona del disco, "Whatever Hurts You Through The Night", dove si scorge un minimo di pathos e di cuore. Il livello torna basso con le anonime "Stronger Than Dirt" e "Dream Dream Dreaming" e si potrebbe rialzare con la sommessa ed intensa "I Feel Wrong" se non fosse così evidente l'autoscopiazzamento dalla passata "Geraldine". Attraverso la già citata "Euphoria, Take My Hand" e l'inspiegabile lungaggine di "Lots Sometimes" arriviamo al pezzo che chiude il disco, "Change", e si apre un enorme quesito: bastava forse spegnere il distorsore per portare a casa la sufficienza?
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