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R Recensione

8/10

Joe Jackson

Night and Day

All’alba del 1981 Joe Jackson era parte costituente di un irrequieto triumvirato new wave completato da Elvis Costello e Graham Parker. Aveva alle spalle un trio di album onesti, ben scritti e consistenti (tranne forse per il confuso “Beat Crazy”) in cui, appoggiato dal riscontro commerciale della coppia di hits “Is She Really Going Out With Him?” e “It’s Different For Girls”, aveva mostrato alcune tra le migliori cose del genere. Ma la formula new wave cominciava a diventare stantia, e per il 1982 era ormai praticamente antiquata.

Joe Jackson e la sua band l’avevano per altro abbandonata nella loro precedente uscita, “Joe Jackson’s Jumping Jive”, e avevano mostrato di non temere bruschi cambi di genere, abbandonando le convenzioni del quadrilatero batteria-basso-chitarra-voce ed immergendo l’ascoltatore nel mondo di Louis Jordan e Big Joe Turner, quello della musica jazz e swing degli anni ’30 e ’40. Aveva funzionato, ma pur ammettendo che Jackson avesse mai desiderato farsi etichettare come un nostalgico revivalista jazz (nel qual caso sarebbe stato comunque di quindici anni in ritardo), le sue ambizioni musicali erano ben lungi dal ritenersi compiute; così, abbandonate le coste britanniche (dove gli Smiths soppiantavano definitivamente il punk), Jackson, mettendo a punto un duplice divorzio coniugale e geografico che non riuscirà a recidere la sua britannicità ma che lo allontanerà un po’ dai confronti con Elvis Costello (che nel frattempo faceva uscire “Imperial Bedroom” seguendo un ambizioso percorso artistico in fin dei conti parallelo: dimostrare di appartenere alla più elegante classe di cantautori dopo la sbornia post punk), approdò a New York per offrire una panoramica di un mondo notturno, chiaroscurale, così lontano dal suo, sospeso tra gli eccessi del punk e un approccio più apertamente estetico ancora in via di definizione, ma pregno di sonorità latine e danzerecce – una sorta di moderna fusion con impianti jazzati, ispirata a due tra i compositori che Jackson ammirava di più: George Gershwin e Duke Ellington.

Night and Day”, in bilico tra le sonorità classiche della tradizione a cui fa riferimento e una rilucente scorza pop derivata dalle nuove tecnologie sintetiche, è una florida rielaborazione di queste influenze, in cui le liriche sabbiose del polistrumentista sono accompagnate da uno sfondo che combina ritmi complessi ad un ampio uso di pianoforte e tastiere. La coesione dei musicisti è esemplare: la chitarra è completamente assente (novità, questa, assoluta per Jackson), e lo è lecitamente, perchè sarebbe ridondante: è interessante rilevare come questo sia tra i primi dischi a dimostrare come un percussionista possa far risplendere una canzone, invece di essere soltanto parte dello sfondo.

Il bassista Graham Maby riempie le distanze; Jackson, oltre a farla da padrone con le tastiere, si cimenta anche con il sassofono; Larry Tolfree è il batterista. Alcuni l’hanno definito “un album stile New York”: ebbene, non lo è. È certamente un tributo all’estro stilistico di Cole Porter (che scrisse una canzone intitolata Night and Day, of course), e quindi a New York; ma è una New York vista con gli occhi di un perfetto englishman, specialmente nel primo lato, quello dedicato alla notte.

Sin dall’eccellente apertura di “Another World”, Jackson è il ragazzo che scopre attraverso l’armadio un nuovo mondo vibrante ed effervescente, e l’immortale singolo “Steppin’ Out”, che costituisce il lato più vaporoso dei temi sui cui Jackson basa la composizione concettuale del disco, riflette alla perfezione l’eccitazione che deriva dall’atmosfera glamour della Grande Mela – oltre a dimostrare una saggia moderazione nell’uso dell’elettronica. Le sfavillanti “Chinatown” e “Target” , dove si vira verso il tema (centrale) dell’alienazione spaziale, con la suggestione delle corde «eccitazione» e «paura» fatte vibrare all’unisono nel cuore del protagonista (i ritmi esotici di Sue Hadjopulos fanno letteralmente vibrare i timpani) si rincorrono in una sorta di policroma suite che occupa tutto il primo lato, inframmezzate da “TV Age”, geniale sbraito con manierismi vocali alla David Byrne e invettiva contro la fiacchezza che una prolungata esposizione al tubo catodico è in grado di provocare (problema, questo, che Jackson dovette riscontrare endemico nella media società Newyorkese. Il secondo lato, quello votato al giorno (l’impressione è in realtà di un clima più pacato, ma ancora notturno), comincia con la toccante ballata “Breaking Us In Two” (l’amore nella modernità) e affonda i suoi colpi con la cinica trama salsa di “Cancer” oltre che con le due potenti ballate finali, dove si introduce una sorta di alienazione temporale e in cui l’interpretazione vocale di Jackson spicca il volo verso lo spazio.

Real Man” è un amaro e melodrammatico riferimento alla cultura omosessuale e ai ruoli dei due sessi, pescati a cavallo tra gli ultimi anni ’70 e i primi anni ’80 in uno stadio di profonda evoluzione e di incertezza; “A Slow Song”, che chiude il disco, è un epico e disagiato “meta-lento” che vorrebbe limitare lo spargersi del virus del dj e delle sue brutali cadenze proiettate al futuro. Giunge alla fine un lavoro raffinato ed estremamente accessibile. Unico, perdonabile difetto: l’ambizione supera la portata del songwriting creando forse un lieve dislivello – niente che pregiudichi la qualità complessiva di questo disco, che si mantiene vieppiù eccelsa, segnalandolo come uno dei più affascinanti della decade.

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Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 9 voti.
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loson 10/10
4AS 10/10
REBBY 9/10
alvin 8,5/10

C Commenti

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benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 11:04 del 26 dicembre 2011 ha scritto:

Bel disco, forse all'epoca un po' troppo enfatizzato (se non mi ricordo male era una fissa di carlo massarini alle tarde ore della rai), ma con alcuni brani che rimangono esemplari per eleganza, raffinatezza e capacità comunicativa, fra tutti Steppin'Out, Breaking Us in Two e Real Man.

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 11:57 del 26 dicembre 2011 ha scritto:

Bel ripescaggio e cd grandioso

Magari lui non era più lui, magari il lavoro è eccessivo, barocco, kitsch, ma a me fa impazzire.

Steppin' out è un indiscutibile capolavoro e le tre struggenti ballatone A Slow Song (la mia preferita), Breaking Us In Two e Real Man sono da standing ovation...

Questa cosa dei due lati non l'ho mai capita, però: io trovo molto più notturno (e più bello) il secondo lato... Vabbè, quisquilie!

loson (ha votato 10 questo disco) alle 14:44 del 27 dicembre 2011 ha scritto:

Alchimie irripetibili. Grande Sal, non pensavo fosse nelle tue corde.

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 20:46 del 27 dicembre 2011 ha scritto:

E invece sì Questo è un mio ascolto imprescindibile da quando avevo vent'anni! E Slow Song è una delle mie canzoni preferite di sempre! Ogni tanto esco dal seminato indiepop per svagarmi un po'

Ora penso che ci proverò pure con i Shabazz Palaces, ma lì sarà più dura...

loson (ha votato 10 questo disco) alle 16:19 del 29 dicembre 2011 ha scritto:

RE:

Ahah, in effetti non so se gradirai... Però tentar non nuoce.

4AS (ha votato 10 questo disco) alle 17:28 del 30 dicembre 2011 ha scritto:

10, per forza.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 19:28 del 2 gennaio 2012 ha scritto:

Alla fine degli anni 70 per definire questi musicisti più che di new wave si parlava di pub rock. Parker (il padre), Jackson e Costello (su chi è il figlio e chi è lo spirito santo fate vobis eheh) ne rappresentavano la sacra trinità. In quegli anni per new wave in diretta si intendevano più bands quali Pere Ubu, Devo, Talking Heads, Suicide, Magazine, Joy division, PIL eccecc tutte più new della citata Trimurti. Questi ultimi suonavano un genere di british rock(n'roll) old style, ma venato di scorie punk. Ed inoltre dopo l'81 la così detta new wave a mio giudizio è stata ancora in grado di sfornare frutti gustosissimi quali ad esempio If I die I die, Drums and wires, This mortal coil, Treasure, Spleen and ideal, eccecc. Detto questo, io di Joe jackson ho ascoltato i suoi primi 6 dischi sino alla nausea a casa del mio amico Fausto (lì non c'era scampo o Joe Jackson o Frank Zappa eheh). Dal pub rock degli esordi piano piano si spostò verso un cantautorato raffinato, con le stigmate del classico senza tempo, di ispirazione più jazz e soul che rock e ritengo che questo qui recensito sia il suo zenit. Assolutamente da avere ed infatti, deterioratisi irrimediabilmente la mia C45 (registrata a suo tempo dall'amico Fausto), mi son comprato il vinile.

Mirko Diamanti, autore, (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:05 del 2 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

Anche "Body and Soul", dell' 83, è assolutamente meritevole. Produzione eccezionale e songwriting impeccabile me lo fanno in qualche momento preferire al classico (stupendo) qui recensito.

Mirko Diamanti, autore, (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:08 del 2 gennaio 2012 ha scritto:

Attenzione però che il bellissimo Drums and Wires degli XTC è del '79.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 17:54 del 3 gennaio 2012 ha scritto:

Hai ragione! Lapsus con Skylarking? Vabbè facciamo Pornography eheh. Su Body & soul anche se è l'altro vinile che ho del ns. Joe, meno ispirato per me come songwriting e produzione troppo "laccata" per i miei gusti. Se qualcuno mi da un buon Costello (che non ho in vinile) lo scambio volentieri.

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 20:02 del 3 gennaio 2012 ha scritto:

Nel 1982 degli XTC è uscito English Settlemet... e nello stesso anno ci sono diverrse cose interessanti sul fronte new wave e simili: The Sky's Gone Out (bauhaus), Forever Now (Psychedelic Furs), L'esordio dei ViolenT Femmes, Songs to Remember (Scritti Politti), After the snow (Modern English, appena recensito su questo sito), A key of dreams (Section 25), Rust Red September (Eyless in Gaza), You can't hide your love forever (Orange Juice)

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 9:45 del 4 gennaio 2012 ha scritto:

Altro gran disco English settlement e notevoli quello dei Modern english e l'esordio Violent femmes. Per rimanere solo alle uscite 1982, spulciando tra i miei dischi, non posso fare a meno di segnalare anche Call of the west (Wall of voodo), Sulk (Associates), New gold dream (Simple minds) e Feline (Stranglers).

nebraska82 (ha votato 8 questo disco) alle 22:02 del 11 gennaio 2012 ha scritto:

songwriting eccelso e di gran classe, testi davvero di una spanna sopra la media. grande joe.

joemich alle 13:46 del 19 luglio 2012 ha scritto:

Ciao a tutti!!...Per chi non mi conosce sono l'autore della biografia di Joe Jackson (che ho da poco inserito su questo sito stesso) e sono qui per dire (a quelli che hanno ascoltato solo i primi album di Joe Jackson, cioè sono arrivati fino all'epoca di Body and Soul-1984 e Big World-1986) che dopo il 1986 Joe Jackson non è morto ma ha continuato a fare grande/grandissima musica e che da poco è uscito il suo ultimo lavoro, "The Duke", straordinario tributo alla musica di Duke Ellington, uno dei suoi eroi musicali e sarà in Italia in supporto dell'album con un gruppo eccezzionale, il 29 ottobre a Milano e il 31 ottobre a Roma!...