Johnny Marr
The Messenger
Ho fatto un sogno in cui erano tornati gli anni ottanta. La città era tappezzata di manifesti ciclostilati che annunciavano concerti, nascevano gruppi nuovi ogni giorno, e lalba della new wave subentrava alla rivoluzione del punk. Nel solito negozio dove commessi con il broncio dordinanza smerciavano le novità dimportazione - vinili, succulenti singoli e riviste inglesi o americane - avevo saputo di un nuovo gruppo con un cantante folle che prometteva spettacolo senza freni. E stavo, come sempre, tentando di convincere un recalcitrante compagno di scuola ad accompagnarmi in quella temeraria trasferta. Poi mi sono svegliato ascoltando alla radio The messenger di Johnny Marr, emerito chitarrista degli Smiths al suo esordio da solista alla soglia dei cinquanta anni, ed un misto di nostalgia e affinità anagrafica mi ha spinto ad approfondire la faccenda. Negli stessi giorni le cronache musicali londinesi riportano di un gran movimento fra est e ovest della city con i due negozi gemelli Rough Trade impegnati in concerti, promozioni e lancio di nuove promesse. Che sia venuto il momento, ormai quasi insperato di un risveglio del mondo rock?
Cullandomi in questa speranza, torno a Marr, fresco del titolo di godlike genius assegnatogli dalla rivista New musical express, che ha dichiaratamente fatto un disco senza stare a porsi problemi di somiglianza o derivazione dalle molteplici esperienze musicali vissute, prima fra tutte la straordinaria storia condivisa con Morrissey, ma suonando come riteneva fosse giusto. Mettendo prima di tutto in campo un gran lavoro di chitarre, tutte opera sua, per un aggiornamento del lessico brit con tanto fascino eighties ed un gioco di rimembranze da non perdere per chi abbia amato lanima musicale degli Smiths. Si parte con The right thing right ed i primi accordi non lasciano dubbi: il suono è quello e non ci stupirebbe se entrasse la voce di Morrissey.
Marr canta con meno personalità, ma la struttura incalzante delle sue composizioni sempre condotte dal jingle jangle delle chitarre colpisce nel segno . Sentite quante variazioni sulla tirata I want the heart beat dedicata al rapporto fra anima e tecnologia, accusate un colpo al cuore con i riff dellinno identitario European me o della title track, pogate con i cori e le chitarre wave di Upstars, saltate con una air guitar al grido di Generate, generate.
Cè anche spazio per una ballatona dark Say demesne, per il quasi punk di Sun and moon e per loasi di tranquillità di New town velocity, introdotta dallacustica, sviluppata su una melodia che ne potrebbe fare un classico istantaneo, e impreziosita da un solo da brividi.
Insomma, non sono tornati gli ottanta, né i novanta (anche se è appena uscito un nuovo My Bloody Valentine ed è in arrivo la reunion degli Suede) , ma per chi voglia esercitarsi nei viaggi nel tempo, o anche solo nellascolto di un ottimo disco pop, qui cè materia più che adatta.
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