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R Recensione

6/10

Modern Blossom

Beg for More

Quello che per facilità interpretativa chiamiamo techno pop, termine con cui i Kraftwerk definirono nel 1986 il proprio sound, a me piace tanto, e per tanti motivi. Innanzitutto riconosce la superiorità, in termini di potenzialità, degli strumenti elettronici rispetto a quelli convenzionali. Le capacità di un sintetizzatore sono superiori a quelle di un pianoforte, come quelle di una drum machine rispetto ad una batteria; fuori dal gioco rimangono soltanto i vocoder, forse ancora lontani dalle inflessioni della voce umana. Inoltre il techno pop, dagli anni Ottanta ad oggi, si è nutrito delle più disparate contaminazioni fonologiche; prendendo ad esempio dischi recentissimi, è possibile ritrovare nel nuovo “Off the record” di Karl Bartos alcune rimembranze dai nastri di Marino Zuccheri; o nell’ultimo disco di Atom™, “HD”, si possono rintracciare le evoluzioni di “Simulationszeitalter” di Anthony Rother.

Ma il techno pop non è solo fredda musica delle macchine. Più spesso s’è ritrovato a braccetto col rock uscito vivo dagli anni ’70 per dar vita alla new wave, come nel disco in oggetto, “Beg for more”, autoprodotto dagli italiani Modern Blossom e poi consegnato alla Indie Press. Sette brani acidi, malati, ipnotici, per vivere trenta minuti in un tunnel buio e umido come solo l’elettronica più dark sa offrire. Non solo. In pezzi come “Bloodline, redflies” e “I don’t own you” vi sono alcuni eccitati fermenti della witch house, un filone fiorito nell’underground elettronico che sta a metà tra il noise e l’industrial. Tra i pezzi migliori del disco troviamo sicuramente la title-track, con una melodia azzeccata e cantata in modo rabbioso, e l’ultima “Velvet shoulders”, lungo grido di rabbia di un mondo che non è nemmeno più meccanico. Restano apprezzabili le altre tracce di “Beg for more”: “A common poetry”, con i synth carichi, gonfi, saturi al punto giusto; “Last act”, col suo lento incedere al sapor di disperazione; “A sickness called faith”, irriverente tuffo carpiato negli anni Novanta ormai non più glam.

I Modern Blossom sono bravi e questo “Beg for more” è un disco più che sufficiente, ma poco aggiunge all’elettropop di casa nostra, che in realtà sembra essersi fermato ai Bluvertigo. C’è bisogno di osare di più nella musica digitale, così come c’è bisogno che le audaci sperimentazioni sonore non restino su carta, come mere prove di coraggio artistico o di incompreso ermetismo. L’elettronica nacque per aiutare la musica ad ibridarsi: e noi questo auspichiamo.

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