Old Time Relijun
Catharsis in Crisis
Che senso ha essere new wave nel terzo millennio? Qual è il bisogno di avere ancora qualcuno che ci ricordi che la bella melodia non è tutto quello che può servire dalla musica ma che un ritmo sghembo e un po’ marcio può illuminare i cuori più di presuntuosi coretti beatlesiani strarisentiti?
In effetti c’è un bisogno impellente di dischi come Catharsis in crisis e di gruppi come gli Old Time Relijun. Non tanto perché potrebbero diventare la vostra band preferita, né perché siano così originali o innovativi. Semplicemente è bene che ogni tanto un’onda acida e schizofrenica venga a portare un po’ di pazzia nelle menti benpensanti di ascoltatori che altrimenti rischierebbero di ammuffirsi con le belle canzoncine degli Arctic Monkeys e degli Arcade Fire. È bene che ci sia un gruppo alternativo che ricordi all’ascoltatore alternativo la natura stessa dell’alternatività. Sembra un discorso molto riduttivo e un po’ schizofrenico ma non importa: è adattissimo al contesto della pubblicazione e alla natura del gruppo in questione.
Catharsis in crisis non è un disco da ascoltare con un bicchiere di bourbon in mano mentre si legge il giornale davanti a un caminetto acceso. Assomiglia molto piuttosto a un sabba infernale aggiornato al nuovo millennio. I suoni sono tanti ma spesso ben riconoscibili: Captain Beefheart, Pere Ubu, Pop Group, in generale quella no wave isterica che si rifà anche a Public Image Limited e a No New York. Lo spirito blues è forte e la sua natura ne è distorta con questi elementi e con una buona dose di morbido free jazz (sentire i fiati cacofonici di Indestructible life! e lo splendido romanticismo che pervade Garden of pomegranates). Il risultato è ammaliante, talvolta avvolto da oscuri veli orientali (Dig down deeper, The second day of creation), talora intriso di una primitività selvaggia e tribale (In the crown of lost light, Akavishim, e le ritmiche pulsanti di Indestructible life!). Talvolta sembra di sentire un John Spencer più sporco e marcio del solito (The tightest cage), ripulito dal suono impermeabile e patinoso che ricopre i suoi lavori da una decina d’anni ormai. Lo spirito new wave troneggia comunque imponente su tutto il disco, sia a livello spirituale che ritmico (dove si sarà sentito il riff sanguinario di Daemon meeting? Forse in qualche disco dei Pere Ubu?), sebbene i rimandi alla psichedelia macabra e malata del capitano cuore di vacca siano ancora abbastanza numerosi (Liberation il caso più palese). Quali che siano i rimandi è sempre la schizofrenia a farla da padrone e pezzi come Dark matter sono lì a ricordarlo: rullo di tamburi alla Nick Mason (quello devastante di Ummagumma) ad accompagnare una chitarra garage-rock che sembra uscire da uno scantinato di fine ‘60s pieno di erba, poi d’un tratto la quiete e l’inizio di un canto esotico-stonato. C’anche spazio per Veleno mortale, unico brano ad essere inspiegabilmente cantato in italiano ma leggermente sottotono e tenuto in piedi solo grazie a una possente e solida batteria.
Insomma Catharsis in crisis non sarà certo uno dei migliori dischi del 2007 e forse nemmeno della band americana (sebbene ci siano dubbi in proposito) ma di sicuro è un disco che oggi serve.
Domani non si sa. Ma il lerciume sonoro ogni tanto è gradevole. E questo è di ottima fattura.
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