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R Recensione

7,5/10

Petite Noir

The King of Anxiety

Un po’ di informazioni: Petite Noir sposta un po’ la grammatica francese (“piccola nero”), nonostante Yannick Ilunga (che in italiano suona già buffo - «Ilunga, sì, senza la i lunga»), cioè Petite Noir medesimo, sia nato in terra (quasi) francofona, ossia a Bruxelles, da padre congolese e madre angolana, prima di trasferirsi a 6 anni a Cape Town, Sudafrica, dove vive (anche se da poco sta a Londra, per registrare il suo disco di debutto per la Domino).

Ecco, immagino che sia scontato, dopo questa intro, dire che la musica di Ilunga sia una musica di contaminazione, ma, vabbe’, è così, tanto più che Petite Noir, già attivo dal 2012, e già un passato in una band metal e in un progetto chillwave (Popskarr), suona qualcosa che ha più a che fare con la (new) new wave che con la (ora Fabio mi lincia) “black music”, sicché non a caso i nomi di riferimento che sono stati tirati fuori sinora rimandano tutti a questa ultima generazione di new wavers di colore: da Kele dei Bloc Party a Devonté Hynes, ex Test Icicles, Lightspeed Champion e ora Blood Orange.

Tutto vero: ascoltando “Shadows”, con i suoi spasmi sincopati e i suoi rallentamenti resi sinuosi dalla voce di Ilunga, è difficile non sentire l’eco dei Bloc Party era-“Intimacy”, cioè già contaminati con l’elettronica, ma indiscutibilmente eredi di una tradizione post punk fatta di chitarre taglienti e sezione ritmica nervosa. Così come è indiscutibile la vicinanza (direi, sovrapposizione) con Blood Orange di un pezzo come “The Fall”, ballad in bilico tra richiami funk, r’n’b e puntellature chitarristiche new wave. Ciò che Ilunga ci mette in più è, anzitutto, una voce pazzesca, capace nel capolavoro “Chess”, di passare da un falsetto altissimo ai registri baritonali (e “noir”) più tipici del genere, assieme alla tendenza ad arricchire i pezzi con moltiplicazioni ritmiche afro (il finale di “Chess” cos’è?), che pure sono state prestate all’indie rock da un po’ (Vampire Weekend e figliocci), ma che qui sembrano usate con una freschezza nuova (cfr. “Till We Ghosts”, o il call & response venato addirittura di blues di “Come inside”).

Al punto che un Ep di cinque pezzi dal titolo “The King of Anxiety” può risultare assurdamente vitalistico: il re, cioè, l’ansia la vince. In un disco intero, che si spera possa tenersi su questi livelli, potrebbe sbaragliarla.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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fabfabfab alle 11:26 del 2 febbraio 2015 ha scritto:

Mooolto interessante! E' "black" come è nera la new wave, qui rivisitata in chiave moderna, e quindi mischiata con la negritudine di certo r'n'b... insomma non ci si capisce più un cazzo, ma è proprio bello.