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R Recensione

6,5/10

Santo Barbaro

Geografia di un corpo

Anziché fare come Rocky Balboa, che prima di sfoderare il suo micidiale gancio sinistro prendeva pugni in faccia per dodici round, o peggio ancora come il povero Daniel San, che prima di ricordarsi che il maestro Miyagi gli aveva insegnato il colpo della gru si era già fatto spaccare un ginocchio, i Santo Barbaro, giunti al quarto disco, conoscono benissimo le proprie armi vincenti, e sanno come e quando utilizzarle.  

Allora “Lacrime di androide” parte al minuto 00:00 di “Geografia di un corpo” e il primo round lo porta a casa senza nemmeno bisogno di mettere il paradenti: orfani dei Joy Division, sbarbatelli nostalgici degli Interpol del primo album, accorrete, perché qui si rasenta la perfezione. “Non ho mai amato e me ne guardo bene” è uno slogan degno di Lindo Ferretti, ma il “tiro” post-punk è micidiale e le chitarre girano che è una meraviglia.

Il resto è tutto in discesa per questa band emiliana che ha raggiunto il numero di nove elementi dopo un periodo di smarrimento (a dimostrazione di come si possa ri-articolare il proprio percorso artistico grazie all’apporto di nuove idee), anche perchè la cultura letteraria e musicale di questi ragazzi è evidente, e permette loro di affrontare momenti di scarno lirismo su bassi pulsanti (“La necessità di un’isola”), distensioni astratte (“Cosmonauta”), “industrialismi” precoci alla Suicide (“Zolfo”), improvvisazioni in presa diretta (“In memoria di nessuno”) e, più in generale, un’ispirazione genuina, libera e trascendente, come se dalla “geografia del corpo” si volesse giungere, attraverso suoni e parole, alla “storia dell’anima”.

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