The Cars
Move Like This
Con il bistrattato "Door to Door" risalente al 1987, ammonta a ventiquattro anni lo spazio fra la precedente opera dei Cars e il nuovo "Move Like This". La carriera del quintetto si concluse proprio a causa della scarsa accoglienza riservata a "Door to Door", sia a livello di critica, sia a livello commerciale (un milione di copie sono per molte band un sogno irrealizzabile, ma per i Cars, che ne avevano già accumulati una trentina nell'arco di sei dischi, si rivelò evidentemente una cifra deludente). Dopodiché, a causa delle continue dichiarazioni di Ocasek su un'impossibile reunion, e soprattutto della morte di Orr nel 2000, per la band sembrò davvero finita: ma forse proprio la morte dello storico bassista (nonché voce solista di almeno un terzo dei brani) ha stimolato gli altri quattro a riprovarci e a mettere da parte posizioni che sembravano inoppugnabili. O forse, semplicemente, il tempo leviga tutto.
Non che durante questi ventiquattro anni Ocasek sia stato con le mani in mano: sono usciti diversi suoi dischi come solista, l'ultimo dei quali nel 2005 ("Nexterday"). Prodotti interessanti, con sprazzi di gran classe, fiaccati però da un sound flaccido, carente della vulcanica vitalità e delle magiche atmosfere della band. Questo è l'aspetto che "Move Like This" mette più di ogni altro in evidenza: se l'autore dei brani rimane Ocasek e a lui è quindi legata a doppio filo l'esistenza del progetto, gli altri musicisti risultano comunque essenziali per il completamento del suono. Non è una band in cui il leader può permettersi di sostituire a piacimento gli altri elementi, benché questi - a eccezione del tastierista Greg Hawkes - non abbiano praticamente mai scritto una canzone. I Cars in quanto tali funzionano solo come somma di precise componenti. Tanto che il defunto Orr non è stato sostituito (il basso viene suonato a turno da Hawkes e dal produttore Jacknife Lee).
Se l'album non è perfetto è proprio per l'assenza di Orr: Ocasek infatti non ha rinunciato a inserirvi un paio di lentoni ("Soon" è praticamente la fotocopia di "Drive") che in tutta onestà non si addicono alla sua voce nervosa e scattante. Avrebbero sicuramente preferito l'armoniosa e potente voce del bassista. Si tratta comunque di voler guardare il pelo nell'uovo, perché il livello medio rimane davvero alto, e almeno quattro tracce sono degne dei classici del passato.
"Blue Tip" è un pop-rock contagioso in cui Ocasek subito snocciola le solite rime elementari con la sua atipica, torrenziale fluidità (nel ritornello spunta poi uno degli ormai mitologici ricami sintetici di Hawkes); "Sad Song" è un pezzo che se uscisse a nome Killers devasterebbe le classifiche; in "Keep On Knocking" ritroviamo l'hard rock, propulso dall'ossessivo serialismo 'in miniatura' delle tastiere (la formula fu trionfale in un album come "Heartbeat City", e si dimostra a tutt'oggi freschissima); "Free" riprende invece il discorso dove l'aveva lasciato un pezzo come "Stranger Eyes", con i suoi cori eterei.
Quello che stupisce è come ogni pezzo si riallacci in una maniera o nell'altra al passato della band, financo esplicitamente: eppure l'album non suona come mero revival, non suona come minestra riscaldata, suona bensì come un prodotto del 2011. Vi fosse stampata in copertina un'altra sigla penseremmo a dei debuttanti. Questo forse è dovuto all'influenza gigantesca esercitata dalla band su tante formazioni che hanno marchiato a fuoco gli ultimi dieci anni di musica, dagli Strokes ai sopracitati Killers, volendo persino i Franz Ferdinand. Nel momento in cui hanno ripreso in mano le redini, Ocasek e soci si sono quindi ritrovati al centro della modernità, pimpanti come pochi nomi in giro nel 2011. E dire che nel 1987 sembrava non volerli più nessuno.
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