R Recensione

8/10

Paradise Lost

One Second

Chiunque sia andato in un negozio di dischi ad ascoltare One Second alla sua uscita oppure lo abbia sentito a casa di un amico, è rimasto in ogni caso sbigottito. Le reazioni, però, sono state diverse. Qualcuno ha sostenuto che non gli piaceva: reazione assolutamente insindacabile.

Qualcuno ha organizzato sit-in di protesta, ha scritto lettere di insulti sui giornali ed ha gridato all’alto tradimento. Qualcuno è rimasto indifferente e qualcuno, infine, lo ha adorato.

Se è opportuno prescindere dai sacrosanti gusti personali, però, per One Second è impossibile ignorare chi lo abbia composto, una band metal, una band che aveva sviluppato un particolare stile doom , un gruppo seminale e amato in ogni forma che avesse scelto di usare per esprimersi. Almeno fino a questo momento. One Second , la opener e title-track del disco, al famoso ascoltatore che per primo si apprestò a sentirlo, regalava note di pianoforte, in analogia con la opener del precedente Draconian Times, ma da subito (in “un secondo”) si avvertiva l’ingombrante atmosfera elettronica: suoni nuovi, per la band, suoni che cambiavano il corso del viaggio del gruppo per sempre. Gli occhi dell’anziana donna in copertina, sono aperti sul retro del disco, segno che la donna, a dire della band, si rende conto di come in un attimo la sua vita sia trascorsa.

E’ un disco importante, un disco che, almeno per lo spirito delle liriche, resta assolutamente coerente : pessimismo di fondo, disagio sociale e amarezza a tinte fosche. Molti hanno evidenziato una somiglianza con i Depeche Mode, come tutto ciò che è elettronico, come se fosse l’unico gruppo del genere, ma l’originalità delle composizioni e lo stile unico non sono mai stati in discussione. La violenza è manifestata in modo nuovo, come in Say Just Word , brano che afferma con decisione l’appartenenza ad un sound comunque rock.

Dicevamo del disagio sociale; è il caso, per esempio, di Lydia, nome di una adolescente costretta a prostituirsi, una storia tristemente vera come tante. Mercy è un esempio del percorso elettronico che la band ha intrapreso e che continuerà ancora per qualche disco, dove contano più le atmosfere, gli effetti, anche se mai esagerati. Se Another Day e The Sufferer creano la giusta atmosfera che i titoli possono già far presagire, il culmine del pensiero lostiano è molto semplicemente, ma mai banalmente, espresso in This Cold Life, manifesto della negatività dalla quale non esiste via d’uscita, brano che mostra anche l’abilità di Gregor Machintosh non solo come chitarrista, ma anche come tastierista e valido programmatore dei sintetizzatori.

Per alcuni brani, come la sopraccitata Say Just Word o Blood of Another qualcuno ha fatto il nome dei Sisters Of Mercy, ma se pure a scavare in fondo qualcosa emerge, sia pronto l’ascoltatore a non aspettarsi alcuna ironia dai Paradise Lost, non qui, almeno non nella forma tagliente e sfacciata di Aldritch, perchè la band ha dimostrato più volte, oltre che dichiarato apertamente, che la voglia di scherzare nella loro musica è del tutto assente.

Il bellissimo logo della band compare per l’ultima volta e l’aggiunta del brano I Despair nella versione rimasterizzata ne hanno impreziosito la confezione. E’ uno dei dischi più angoscianti della band, forse proprio per via dell’allontanamento dal doom, perchè senza la maschera dell’oscurità dietro la quale si erano celati, la band ha mostrato il lato oscuro in tutto il suo scheletrico orrore.

I can take one day to achieve my goal, then it starts again.

In this circumstance that I call my own dreams just don't deliver.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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rael alle 10:52 del 29 novembre 2007 ha scritto:

sa diventando un sito metal? questi sono dei zoticoni pazzeschi!

IT, autore, alle 10:57 del 29 novembre 2007 ha scritto:

questo NON è un disco metal. c'è scritto anche abbastanza chiaramente.

e poi credo che Storia della Musica voglia essere un sito a 360° veri, non a chiacchiere, quindi senza nessunissimo paletto.

Ivano