R Recensione

8/10

Beatrice Antolini

A Due

Alice in Wonderbra. La sposa ca(nta)davere. (Non) baciate la pianista. Dark Kitty. My Bologna.

Ci sono dischi che dovrebbero far gridare al miracolo. Che sarebbero sulla bocca di tutti se solo battezzati oltre i patri confini. Tanto che una come Beatrice Antolini sembra cascata qui per puro caso, nel senso che, per la musica che suona, potrebbe essere tranquillamente nata altrove. Una che fa le cose che fa perché le vengono naturali e non ci sta neanche a pensare più di tanto. Una fuori. Fuori dagli schemi e dalle scene. Forse persino dallo spazio.

Una bambina che gioca a campana sulla linea del tempo (interiore e musicale) canticchiando filastrocche un po’ astruse, popolate di toons con un tratto a metà strada fra Tex Avery e Robert Crumb che si rincorrono in libere associazioni semantiche. “Da qualche parte oltre un arcobaleno” filato in arcate di zucchero psichedelico. Una che nella sua breve vita (23 anni) ha suonato un po’ di tutto: il piano classico fino a 15 anni, il basso in gruppetti industrial e dark wave, intere colonne sonore per la scuola di teatro in cui s’è diplomata, fino a quel fulmine a ciel sereno che è Big Saloon (2006), l’esordio per Madcap, che le schiude le porte di collaborazione eccellenti (Jennifer Gentle, nella persona di Marco Fasolo) e aperture d’eccezione (per Bugo e Baustelle).

È un disco pieno di significati questo A Due, fin dal titolo: opera seconda certo, ma anche un passo “a due”, nel senso di amoroso sincronismo espressivo, e perché no, “a due”, in inglese, un dovere nei riguardi di se stessa, un credito nei confronti della musica. E dentro c’è tutto quello che avete sempre sognato in un disco indie italiano (ma questo è fuorviante, diciamo piuttosto, “prodotto in Italia”) e non avete mai osato chiedere: Beatrice che mette piede per la prima volta in uno studio di registrazione (finora la sua cameretta bastava e avanzava), suona tutti gli strumenti che trova lungo il cammino e sfoga il suo vorticoso e arlecchinesco repertorio di stili in un frappè di psichedelia pop intrisa di cabaret, volèe sinfoniche, antifonie blues, percussività ragtime.

Come nella suite mignon in tre movimenti di New Manner che comincia stile rondò barocco, tracima in una balcanica danza delle ore ed infine si stempera in una lullaby solfeggiante con vagiti d’archi in sottofondo; nel funk-jazz spiritato di Funky Show circonfuso di spiragli armoniche degne d’un musical “burtoniano”. Segue Morbidalga voluttuoso adagio su una rete d’incanto psichedelico - fra il Sgt. Pepper e Van Dyke Parks - dopo i numeri d’equilibrismo che l’hanno preceduta. A New Room For A Quite Life fissa l’apice del disco (bissato in coda da Taiga) e dell’espressività antoliniana: un mood orientale, una salmodiante, sospirosa danza dei veli attraversata da asperità post punk, pasodoble di fiati, vocalismi dervisci.

Modern Lover spezza con un interludio confidenziale nell’esecuzione e psichedelico nel riverbero, virando sul rilassato pop-shuffle di Clear My Eyes, poi le figure di charleston, can-can e burlesque, strizzate nei 2’ e 46’’ di Pop Goes To Saint Peter esplodono una dopo l’altra come una salva di fuochi d’artificio, doppiate dal piano indiavolato e dal mellotron spettrale di Sugarise che già a tre quarti, però, si fonde nella lepidezza e nell’abbandono un po’ alla Sandoval di Secret Cassette. La danza est-europea squassata da turbolenze mediorientali in Double J è un antipasto in vista del banchetto tribale di Taiga, misto di cadenze kabuki e fondali sonori sottratti ad un film di Ed Wood Jr. o di William Castle, che alimentano un inquietante, incontenibile mantra disneyano per aspergersi in un codazzo di droni.

Scesa dal seggio ultraterreno del suo nome carico di poesia, Beatrice riesce laddove il 99% dei suoi colleghi, mediamente, fallisce: incastonare nella sua forma pop piena di licenze una fantasia fiabesca e libertaria come nel nostro paese non se ne vedevano dagli anni ’70.

Santa subito.

V Voti

Voto degli utenti: 5,9/10 in media su 8 voti.
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REBBY 6/10
marcot 7/10
Zorba 1/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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fgodzilla (ha votato 7 questo disco) alle 10:52 del 21 novembre 2008 ha scritto:

Musicalmente ineccepibile

Se pur acerbo , a tratti un tom waits in gonnella

peccato che la voce sembra barbie con le ragadi...

sorry ma quando inizia a cantare mi viene male...

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 11:19 del 21 novembre 2008 ha scritto:

Santa subito no. Prima dovrebbe morire...

Bel disco, ottima segnalazione e ottima (che noia, con te mi tocca dirlo praticamente tutte le volte) recensione.

Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 14:31 del 21 novembre 2008 ha scritto:

a star is born!! ad oggi nn riesco ad impazzirci dietro, ma il talento è indiscutibile, fiorirà!

simone coacci, autore, alle 15:12 del 21 novembre 2008 ha scritto:

è vero. Ci sono dischi che ti spingono a forzare un po' la mano. A gettare via il bilancino dei giudizi. A guardare più all'avvenire che al presente. A dove si va più che a dove si è. E questo è uno di quelli. Bislacco, perfettibile ma unico. E spaventosamente fuori. Libero. Speriamo di farle guadagnare altri ammiratori.

lovemetwee alle 13:10 del 25 novembre 2008 ha scritto:

brava ragazza

devo ancora ascoltare l'ultimo disco, l'ho vista un paio di volte e ne sono rimasto piacevolmente stupito.. ha buon gusto e sceglie bene i propri collaboratori.. e per quanto quel caschetto attiri a volte più di quel che dice (la scelta di cantare in inglese va rispettata...e perchè no, criticata..)sa cosa è l'indipendenza musicale e non posso che approvare questi progetti con tanto di Madcappello.

^_^

marcot (ha votato 7 questo disco) alle 0:26 del primo febbraio 2009 ha scritto:

...

partendo dal fatto che nel complesso mi piace devo comunque fare alcune critiche:

-la voce non è una novità e mi ricorda lontanamente Gwen Stefani.

-la scelta dell'inglese non la capisco visto che ancora non è uscita dall'italia e poi sarebbe stato più innoativo ascoltare questo tipo di musica in italiano.

Per il resto...7