R Recensione

7/10

Evangelicals

The Evening Descends

Sugli Evangelicals è inutile cercare un punto d’accordo. Ricorrere ai funambolismi o alle mezze misure. O sono deliziosi o, altrimenti, delinquenti. Irritanti o irridenti. Sono ben strani e stralunati. Anche geograficamente parlando: nascono in Oklahoma, il che vuol dire prima di tutto Flaming Lips, l’ago della loro bussola segna il nord, com’è ovvio nel nostro emisfero, il che vuol dire Canada e confinanti (confinante, si, alla faccia tua Zio Sam!), Arcade Fire, Godspeed you black emperor!, Broken social scene e Animal Collective-Panda Bear, ciononostante la rotta melodica costeggia spesso e volentieri il bagnasciuga albionico (una filiera canzonettistica tipicamente cockney che va dall’operetta al musichall, dal merseybeat al glam più bubblegum).

Un singolare triangolo topo-musicale che li pone al centro di anticicloni lisergici, equivoci calembour da avanspettacolo indie-pop. Professano la religione psichedelica con un fervore realmente evangelico, un candore degno dei chierichetti del reverendo Carroll. Suonano come un musical di Richard O’Brien diretto da Tim Burton. Un francobollo di acido ritagliato da una locandina della Hammer e disciolo nel punch di Natale.

Un gorgo metafisico, perturbante, regressivo che tutto ribolle in un’infantile pozione color caramello, senza remore, ne sensi di colpa: gli arpeggi scanditi dei Pink Floyd e certe distorsioni alla Brian May (“Dio non esiste”, mi son detto, sulle prime…), i caracolli ritmici degli Arcade Fire levitati sui marchin’ beat sinfonici dei Move / ELO, i mellotron enfatici e la caligine shoegaze, l’intonazione, talora imbarazzante, alla Queen o Supertramp gargarizzata nei cori androidi degli Animal Collective. Così stanno le cose. Se ci sono o ci fanno non è dato saperlo. Di sicuro non stanno a pensarci più di tanto, loro, vanno di fretta e le undici tracce di The evening descends, lunghe o corte che siano, scorrono comunque ludiche, fluenti, cesellate. Una suite ambiziosa e variegata stracciata qua e là per commentare un serie di vignette da “Piccoli Brividi”.

I pezzi migliori sono indubbiamente Skeleton Man (gustoso ritratto di un freak che non sfigurerebbe nella galleria di Johnny Depp) una specie di acid-folk in levare rivisitato dal Pinball Wizard di Tommy (suonerie da videogioco Amiga, cantici natalizi e rovesci shoegaze nel finale) e Bellawood, numero di post punk broadwayano con archi alla Danny Elfman e theremin spacca timpani. Decisamente spassoso anche il power pop da Christmas carol di Paperback Suicide che si avvita su se stesso in un ritornello degno quasi dei Pixies, il bubblegum operistico di Midnight vignette (contrappunti yè yè, anacronismi chitarristici e puerilità vocali che sembrano uscite da Queen II)e Party crashin’ (gli Arcade Fire rappresi in una ragnatela di strass e taffetà alla “Velvet Goldmine”).

Un songwriting di confetti acidi e zucchero filato che s’abbruna al sole. I diabetici che detestano i disegni animati possono sempre consolarsi piluccando un po’ schifati il glam/shoegaze di How do you sleep? o il collage della title-track, dream pop “barrettiano” angelicato alla Marc Bolan. Poiché c’è tanta, troppa musica in giro e così poco tempo per ascoltarla, non posso biasimarvi se decidete di soprassedere: un po’ di pazienza, però, questo è un gruppo che viene fuori alla distanza.

Aspettano solo un Roald Dahl che ne faccia i suoi Umpa Lumpa.

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 8 voti.

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Lezabeth Scott (ha votato 8 questo disco) alle 11:18 del 24 febbraio 2008 ha scritto:

Nightmare before a velvet goldmine! Spassosissimi!

Cuore e cervello!

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 10:42 del 14 aprile 2008 ha scritto:

Skeleton nan e Here in the deadlight sono le mie preferite, ma togliendo la testa (Evening descends, follia melodrammatica) e soprattutto

la coda (Bloodstream, musica buona per i GEN),

l'album è per me tutto godibile ed è anche

particolare, se non proprio originale. Starei

tra 7 e 8.