R Recensione

7/10

The Ruby Suns

The Ruby Suns

Se fino ad oggi avete sempre pensato che fossero gli High Llamas i più fedeli seguaci in attività di Brian Wilson, dovrete presto ricredervi, una volta ascoltate le prime note dell’omonimo debutto dei Ruby Suns. La traccia d’apertura Trees Like Kids è infatti qualcosa di più di un semplice attestato di devozione, con le sue voci acappella fuse in armonie che accostano sacro e profano in nome del pop: è una vera e propria outtake di Pet Sounds.

Se nei pezzi successivi il suono si fa un po’ meno calligrafico, la sostanza non cambia: ancor più dei lama alti, che comunque personalizzano la propria rilettura musicale con una sorta di summa maestosa e curata fino al dettaglio di pop d’autore ed easy listening di classe, gli sforzi musicali dei Ruby Suns apparentemente sono tesi ad un unico obiettivo: far rivivere il sunshine pop degli anni ’60, con una gigantografia dei Beach Boys a benedire dall’alto.

A salvare il disco dal manierismo sterile e ad alzare un po’ di polvere su rimandi che finiscono spesso con lo sconfinare nel plagio è, come sempre nel pop, la forza delle canzoni: che a fare la differenza sia l’influenza del twee sul jangle pop di Look Out Sos! o semplicemente l’innato talento del frontman Ryan McPhun, come in It’s Hard To Let You Know, poco importa.

Esemplare è Criterion, pezzo della raccolta che vanta probabilmente il livello di plagiarismo più allarmante, ma anche uno di quelli che riesce meglio, grazie ad un’irresistibile natura melodica, a spingerti a chiudere un occhio e ad ignorare le vocine nel cervello che ti urlano che in realtà stai riascoltando per l’ennesima volta ”Sloop John B”.

La sfida tra censore critico e fruitore spensierato si risolve comunque definitivamente con la tripletta finale del disco: il romanticismo fragile di Trepidation Part Two, la brillante vena pop di My Ten Years On Auto-Pilot e il ciondolare sconsolato di There’s Soup At The End Of The Tunnel, ti spingono a mettere in soffitta gli ultimi dubbi residui e a goderti il disco senza altre smanie filologiche.

Un disco da tenersi in caldo per la primavera, in definitiva, baciato dal fascino perverso del falso d’autore, pervaso della congenita leggerezza del pop e sospinto dal talento derivativo ma ragguardevole del signor Mc Phun. Di nome e di fatto.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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REBBY 6/10

C Commenti

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nur alle 13:11 del 14 febbraio 2007 ha scritto:

standing ovation per la recensione, veramente ben scritta!