The Shortwave Set
Replica Sun Machine
Quando qualche tempo fa apprendo che il nuovo album di The Shortwave Set sarà prodotto da Danger Mouse (Gnarls Barkley, Gorillaz, The Good the Bad & the Queen), e che potrà contare su di un arrangiamento d’archi curato da Van Dyke Parks, con John Cale a contribuire in un paio di brani, rimango quantomeno stupito, tre nomi altisonanti si scomodano per una band praticamente sconosciuta con all’attivo un solo (onesto) album d’esordio, che siano raccomandati?
Niente affatto, semplicemente Danger Mouse scorge nell’album d’esordio del trio londinese intuizioni che pungolano la sua fantasia, prende la band, ormai senza un contratto discografico, sotto la sua ala protettiva, ed invita il gruppo a registrare la loro seconda fatica negli Stati Uniti.
Il trio composto da Ulrika Bjorsne, Andrew Pettitt e David Farrell ha tra le mani una raccolta di splendide tracce di palpitante pop perforato da una bruma psichedelica di adorabile suggestione, l’apertura con Harmonia è la locandina dell’album, un delizioso pop imbottito di barbiturici molto vicino ai maestri Mercury Rev, la traccia successiva forse aiuta a comprendere cosa intendessero The Shortwave Set quando etichettarono la loro musica come “Victorian funk”, Glitches ‘n’ Bugs è costruita con la tecnica della sovrapposizione degli strumenti, intesa proprio come accumulo progressivo strumentale, ad ogni strofa si aggiunge un utensile ed improvvisamente ti ritrovi inghiottito nel chorus a muovere il sedere in un vortice freak dal coinvolgimento assicurato, riuscitissima anche Replica, dall’habitus indolente con un basso bordone che non può non far pensare, almeno per un attimo, ai Beatles di Tomorrow Never Knows (senza contare un passaggio di mellotron parente stretto di Strawberry Fields) con un'attitudine al tempo stesso scanzonata modello Kula Shaker e freak in puro stile Arcade Fire, l’album è un continuo rimando di citazioni, un cut and paste forsennato in cui si alternano strumentazione standard ed incursioni elettro, tutto elaborato con gusto e reso appetibile da una produzione accurata.
Detto ciò House Of Lies potrebbe essere un inedito di Lennon solista con Van Dyke Parks in sostituzione di Phil Spector, Now Til ’69 intonata a due voci con chitarre saturate con misura, carezza il Bowie di un famoso brano di Lodger, mentre il singolo No Social è la giusta scelta per fare da traino ad un album mai tedioso, prova ne è il convincente finale, la delicatezza sixties di Yesterdays To Come arricchita da un incredibile arrangiamento d’archi, I Know…una mistura di Air, Goldfrapp e Charlotte Gainsbourg, e Sun Machine, in cui riescono a convivere mondi lontanissimi, quali il lounge pop retro-modernista dei Saint Etienne su di una linea melodica che ricorda in alcuni passaggi un superclassico dei Doors (!), l’ultimissima The Downer Song…la canzone del sedativo, del punto più basso, canto corale dal mantra assillante “there’s something wrong, there’s something wrong…”, certo è che nelle undici tracce di Replica Sun Machine non c’è “nulla di sbagliato”, è tutto perfettamente a posto, questo Replica Sun Machine è album che non offre punti deboli, questo Replica Sun Machine è una incantevole esperienza, non lasciatevene scappare alcuna sfumatura.
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