Unknown Mortal Orchestra
Unknown Mortal Orchestra
Piccole orchestre spuntano dalla rete. Non più da myspace, naturalmente, ormai defunto e vivo solo di insulti da parte degli artisti verso la piattaforma stessa, ma da bandcamp, dove gli allora neonati Unknown Mortal Orchestra postarono, l’anno scorso, l’irresistibile “Ffunny Ffrends”. Pezzone. Da cui blog, etichette, Pitchfork, e via dicendo. Da sconosciuti a hypati.
La band, costruita attorno a Ruban Nielson, neozelandese trapiantato a Portland, arriva al disco in forma smagliante, arrabattata nel suo psych-pop in bassa fedeltà svisato funky, coi piedi saldi nei ‘60 ma col bacino tra il Beck nineties e le schizofrenie lo-fi anni zero. Le canzoni ci sono, e sono pop da ricordarle subito, groovose per ondeggiamento di bassi, non imbrattate di shittosità sonore – all’Orchestra Mortale piace comunque tenere spazi vuoti per respirare –, e scolpite da appiccicosi riff di chitarra che spesso fanno da tema melodico. Vedi, appunto, “Ffunny Ffrends”, tutta fruscii, basso distorto e ancheggiamenti beat, e gli altri highlights “Bicycle” (Malachai) e “How Can U Luv Me”, dove risalta la sezione ritmica sfunkulante che è un piacere.
A tratti sembra di essere davanti ai Woods remixati dai Go Team!, anche per la voce da eunuco scazzato ma drogato dagli effetti di Nielson (“Though Ballune”, “Little Blue House”), mentre qua e là sprizzano puntatine psych-rock più trascinanti (“Nerve Damage”, shit-garage tipo Thee Oh Sees e simili) o momenti di potente allucinazione fricchettona (“Boy Witch”) che però convincono meno. Meglio l’equilibrio sonnacchioso di “Jello and Juggernauts”, con un assolo di scale svagate e tremuli sbarazzini da riascoltarsi in loop.
Non solo divertenti, ma soprattutto divertenti. Estivi nell’accezione nobile.
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