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R Recensione

7/10

E42

Uomini Celesti

Esterno giorno, pianeta Terra

Osservato con occhi logori, questo scorrerci intorno, frenetico, fremente, del mondo non è poi tutto questo gran vedere. Tutto troppo veloce, sfocato, un tantino falso. Gli occhi e le orecchie, che ahiloro non hanno la fortuna degli occhi nel sospendere, almeno per un attimo o nottetempo, la loro funzione, subiscono tutto il rumore, il caos di questo scorrere. Hanno solo una possibilità, le orecchie: sostituire al disturbo il suono. Un suono più elevato che possa rendere questo vorticoso fluire accettabile. E in virtù del contrasto, rivestire di una elegiaca patina persino certi angoli di squallore. Magia della musica, che trasfigura. Non tutta la musica, s’intende, ha questo potere trasfigurante. Ma quella degli E42 è certamente musica che trasfigura e idealmente aleggia a qualche centimetro sopra le cose che riempiono la vista. Uomini Celesti da vita a quella luce opaca che riempie certi giorni sbiaditi, nei quali qualcuno, nella fretta, si è dimenticato di colorare il cielo.  

La verità e l’inganno

Gli E42 nascono e si evolvono dalle ceneri dei cari estinti Elettrojoyce, band romana che ha prodotto tre pregevolissimi album tra cantautorato sghembo e post-punk dagli spigoli taglienti. Una formazione che avrebbe meritato una carriera maggiormente visibile. Il chitarrista e vocalist Filippo Gatti ha proseguito altrove, alla ricerca di una carriera solista che sposta il proprio centro di gravità attorno ad una canzone d'autore coniugata ad una fine poetica musicale. Gli E42 (Andrea Salvati, voce, chitarre, piano e composizione, Stefano Romiti, chitarre, Gianluca Del Torto, basso, Fabrizio D’Armini, batteria) hanno invece consolidato la loro identità, perseguendo un equilibrio perfetto fra giustapposizioni elettro-acustiche (la chitarra elettrica che si adagia e poi s’increspa sulle intemperanze di un pianoforte) e una forma-canzone difforme e densa di testi mai paghi di una poesia abrasiva e crepuscolare. In qualche modo nella loro musica precipitano, ad altissima velocità, minutissime schegge provenienti, senza seguire una traiettoria cronologica, da vari ammassi stellari e sonori: Elettrojoyce (per forza di cose), Stranglers, Joy Division, Magazine, Calla, Githead, Dream Syndicate, Afghan Whigs, Diaframma, Chameleons, Ivano Fossati, The Sound.  

Perdersi in un vortice

Uomini Celesti è urgente, va dritto al punto, non decelera: deciso e conciso. Non può farlo. Spinto il play, non ci si ferma più. Non si può. Ogni canzone è solo un passo del cammino. La chitarra scandisce con asciutti riff questo incedere senza respiro. Dopo il Radioheaddiano intro di XXI si entra in un vortice, dal quale non si riprende fiato: meglio gonfiare prima i polmoni. L’incalzante procedere di Una vita violenta (l’eredità degli Elettrojoyce è proprio in buone mani), l’impellenza de La Strage delle Illusioni (puro fermento di orgoglio post-punk), l’impaziente senso di attesa della meravigliosa Le mille luci, la concitata trepidazione di Vuoi Perderti, la rabbia sottocutanea de Le Curve, si rincorrono, con impazienza, non lasciando la possibilità di interrompere l’apnea dell’ascolto. Tutto precipita.  

Gli Inverni del destino

Una tenue brezza di aria fresca: questo servirebbe in questo mondo irrefrenabile. Per Davvero, concede questa auspicata, intensissima sosta, una sosta da vivere secondo per secondo. Con Ricordami e, ancora di più, con The Young Men, questo stato di sospensione diviene più “alto”, permette di staccarsi da terra e regala una visione distaccata da tutto quello si affretta sotto. Le luci, le vite, la città del sonno, la Terra sembra già un po’ più lontana, nel suo dormire, nel suo finto vivere. Lo strumentale Motus (mai titolo fu più appropriato) è il congedo da quest’inverno della vita terrestre intesa come un continuo correre-correre (ricordate la canzone dei La Crus?): un congedo scandito in due fasi. Prima una rapida ascesa/ascesi mentre tutto sotto diventa più piccolo, indistinto e poi uno stadio finale, scandito da una musica ormai eterea, in cui non si guarda più in giù, a ciò che si era, ma ad una nuova dimensione, verso un qualche altro pianeta in vista.  

Orbite celesti?

Come leggiamo nelle note del CD, la musica in esso contenuta è stata registrata a Roma in un box sotto Via Cristoforo Colombo. La Cristoforo Colombo è una di quelle strade in cui tutto sembra scorrere senza pausa, ogni giorno uguale all’altro, ognuno fotocopia di un vissuto già espresso, con qualche drammatico incidente ad interrompere, con disumana noncuranza, la "normale" incessante processione di moto, vetture, vite, facce. Come dicevo all’inizio di recensione, gli E42 sembrano essersi creati una ideale finestra su questo mondo in corsa, magari semplicemente disegnandola con un gessetto su un muro grigio: un posto di osservazione privilegiato che gli ha concesso di elaborare, in uno stato di grazia, una colonna sonora ideale alla contingenza del quotidiano, riuscendo a percepirne le storie, gli odori, i giorni che non sanno di niente, le assurdità e, allo stesso tempo, ad astrarsene. Gli E42, distanti da paragoni con altri gruppi italiani, dopo l’esordio Libera del 2004, regalano un’altra perla a metà strada fra buio e luce, fra quiete e rabbia, fra il ventre della terra e le stelle.

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Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 10 voti.

C Commenti

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babaz (ha votato 8 questo disco) alle 12:13 del 4 aprile 2010 ha scritto:

MOlto bello...come del resto anche Libera del 2004!!!

grantleebuz (ha votato 8 questo disco) alle 23:33 del 5 aprile 2010 ha scritto:

è un disco molto bello e secondo me sopra gli standard delle produzioni italiane indipendenti (e miracolo si trova anche nei negozi..). "Una vita violenta" migliore pezzo seguito da The Young Men . spero di vederli presto live..venite a Verona?!

djandyg91 (ha votato 8 questo disco) alle 22:11 del 7 aprile 2010 ha scritto:

Spero di riuscire ad ascoltarlo al più presto e di riuscire a sentire un live!! Davvero interessante e da seguire!

demyan (ha votato 7 questo disco) alle 23:26 del 12 aprile 2010 ha scritto:

Mi incuriosiscono anche se la canzone mi ricorda forse 'troppo' un pezzo dei Radiohead.