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R Recensione

6/10

Herpes

Das kommt vom kussen

“Qui non siamo a Seattle, nemmeno a Düsseldorf. E allora corri!”. Rivendicano il ruolo di Berlino come una delle capitali europee della musica gli Herpes, della loro Berlino che col suo fascino decadente è sempre stata fonte di ispirazione per una miriade di artisti. 

Potremmo tradurre liberamente “cosa ottieni dal baciarsi” il titolo del loro album d’esordio Das kommt vom küssen, che arriva con una copertina decisamente anonima, quasi una versione al maschile di quella di Contra dei Vampire Weekend, e che ritrae in primo piano un ragazzo vestito in nero. Nere sono anche certe atmosfere del disco, soprattutto laddove si sente l’influenza dei concittadini Einsturzende Neubauten, laddove, cioè, l’elettronica è volta a evocare sonorità industriali. Ma in generale l’album si poggia su un post-punk dalle marcate tendenze arty. Non mancano le atmosfere di decadenza urbana, invigorite da una sezione ritmica marziale un po’ Joy division, né le eccentricità di Devo e Public Image Ltd., ma in generale non c’è niente di particolarmente ossessivo, angoscioso, inquietante, nulla di apocalittico; le acidità sono contenute, tenute sotto controllo. Sempre, lo spirito anarchico (che impregna composizioni come Das Ding auf F) viene ambiguamente legato, mai disgiunto, a una vivacità giocherellona e disimpegnata.

L’obiettivo sembra insomma essere quello di sintetizzare e semplificare l’esperienza post-punk degli anni 80, sia inglese che americana, tenendone la forma ma rimodellandone gli umori, cosicché le dieci canzoni che compongono il disco scivolano via con estrema leggerezza, forse anche con troppa, visto che dopo l’ascolto si è immediatamente portati a pensare che non ci sia nulla da conservare a futura memoria. E così le schegge art punk che uniscono Devo e Wire sembrano quasi una parodia delle storiche band della new wave, che vengono sovente banalizzate e ridotte a cliché formali.

Però gli Herpes hanno il pregio di non annoiare, fanno del loro sbilenco cantato in tedesco e della loro freschezza e inconsapevole leggerezza giovanile un’arma di seduzione che a tratti funziona (si ascolti l’acido anthem della title track o l’incedere incalzante di Keine experiemente, con i suoi synth molto Killing Joke). Dinamicità che paga soprattutto laddove le idee latitano (il punk rock radiofonico di Verstimmt I) e la loro energia copre, seppur un po’ goffamente, alcune banalità e ripetizioni (An einem Sonntag im august che sembra il bis della suddetta Keine Experimente). Ma ci sono anche canzoni costruite con una certa maestria, unendo melodie accattivanti a cambi di ritmo con intelligenza, come nella perfetta opening track di Das Manifest e nel punk eccentrico e magnetico di Very Berlin).

Faranno sicuramente divertire dal vivo questi ragazzi, invitati ancor prima della pubblicazione dell’album a Londra a suonare al Playground club. La loro miscela basata su un mix di superficialità e anarchia per ora funziona. Ma è un equilibrio fragile: è uno di quei gruppi che, paradossalmente, maturando, rischia di peggiorare. Ma questo dipenderà tutto da loro.

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Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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crisas (ha votato 8 questo disco) alle 15:08 del 5 maggio 2010 ha scritto:

che canzone spassosa