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R Recensione

8/10

Modern English

After the Snow

Credo che ogni sottogenere del rock abbia avuto e avrà i suoi Modern English. Ci sono le navi ammiraglie, che tracciano la rotta, indicano la via e affrontano impavide il mare aperto; esse diventano modelli archetipi a cui non è possibile sottrarsi, con cui inevitabilmente bisogna fare i conti, destinate a fama imperitura e ad essere immediatamente riconoscibili e identificabili per la portata delle loro imprese. E poi, proseguendo nella metafora marinara, ci sono quelle imbarcazioni che cercano di seguire la scia delle prime, ma non riescono a farlo fino in fondo, restando il più delle volte invischiate in una navigazione di piccolo cabotaggio, troppo insicure per allontanarsi dagli approdi sicuri. E poi, ogni tanto, accade il miracolo! Un colpo di vento fortunato, un’improvvisa voglia di avventura, un rigurgito di coraggio fino allora celato, e una di queste navi prende il largo e si avventura su nuove rotte. Questo è quello che è successo ai Modern English, dando alla luce il loro secondo album, After the Snow, nel 1982, quando il post-punk britannico, nonostante la china discendente che si stava già  profilando, aveva ancora belle pagine da offrire.

La band, un trio formato da Robbie Grey (vocals), Gary McDowell (guitar) e Richard Brown (drums), a cui poco dopo  si aggiungono il bassista Michael Conroy e il tastierista Stephen Walker, era sorta qualche anno prima (1979) e, accasatasi assai presto presso la 4AD, aveva pubblicato due anni dopo il disco d’esordio, "Mesh & Lace". Evidenti, nell’inquietante e, talvolta teatrale, intrecciarsi dei bassi pulsanti e ossessivi, della ritmica incalzante e tribale e delle distorsioni chitarristiche, contemperate da momenti più rallentati evocanti atmosfere decadenti affidati alle tastiere, le influenze post-punk/dark che caratterizzano l’opera: ovviamente i Joy Division (soprattutto di "Unknown Pleasures"), ma ancora di più i Bauhaus e i Killing Joke e non solo sul piano strettamente musicale, ma anche su quello dell’immagine (basti vedere la spiazzante e onirica copertina dell’album o il look very “In The Flat Field” del quintetto. L’opera non manca di ottimi momenti, a tratti avvincenti come nel caso della cavalcata elettrica di “Move in light” o della splendida “Grief”, sospesa fra reminiscenze Joy Division ("Atmosphere") e suggestioni Wire di "154", ma permane per tutto l’album l’impressione di trovarci di fronte comunque ad un lavoro troppo omaggiante ai modelli succitati e, in ultima analisi, alquanto derivativo.

Sono tuttavia presenti nel disco tutti quei semi che germoglieranno improvvisamente e in tutte le loro potenzialità con l’album successivo, "After The Snow", col quale coordinate stilistiche e modelli di riferimento mutano sensibilmente, pur non tradendo le origini del gruppo, ma arricchendole di mutata consapevolezza nelle proprie capacità espressive, di maggiore varietà compositiva e di convincente facilità comunicativa. Non è estranea a ciò, nonostante i dissidi fortissimi durante le registrazioni, la competenza del produttore High Jones, reduce dalle collaborazioni fortunate con Echo & The Bunnymen. E così il suono si apre a molteplici influenze che, superando ma non rinnegando l’esperienza passata, conducono i Modern English verso composizioni assai più elaborate e ricche di arrangiamenti, nelle quali la tastiera assume importanza assai maggiore, capaci di delineare atmosfere sospese fra romanticismo e decadenza, pop e psichedelica assai più fruibili del passato senza per questo mai oltrepassare la soglia della mercificazione.

I riferimenti stilistici sono variegati e tutti nobili: oltre ai  nomi citati per il primo disco sono evidenti i rimandi alla pop-psichedelia di Bunnymen, Sound, Psychedelic Furs e Comsat Angels, ma anche al synth pop dei migliori Simple Minds ("Empires and Dance", "Sons and Fascination"). Ecco così succedersi una dietro l’altra le preziose intuizioni di “Someone’s Calling”, ideale anello di congiunzione fra passato e presente, trascinante ballata di dark psichedelica, sospesa fra ritmica post-punk e sensazionali intrecci elettro-acustici, il tribalismo danzereccio di “Life in the Gladhouse” il cui ritornello sembra uscito dall’ugola di Jim Kerr, il romanticismo equilibrato di “Face of Wood”, altra ballata suggestiva, come una "Ceremony" alla quale, tolto il dolore, resta solo dolcezza. “Down chorus” è chiusura celestiale del primo lato, forgiata dal ricamo di chitarre e tastiere che accompagnano un Robbie Gray il quale, abbandonate le pose più teatrali e grottesche del cantato, acquista piena padronanza delle doti malinconiche e decadenti del suo registro vocale.

Il brano a cui, nell’edizione vinilica, era affidata l’apertura del lato B, "I Melt with You", è il vertice compositivo dei Modern English, aerea canzone pop, dall’equilibrio perfetto  e dalla musicalità immediata, molto vicina a gruppi coevi che si muovevano in direzioni simili, come Sound e Church (se qualcuno si ricorda questi ultimi  vada a ripescare “I’m almost with you” e non potrà fare a meno di notare le strette affinità col brano dei M. E. e non solo nel titolo!!), sintesi perfetta di romanticismo e sensualità ("There’s nothing you and I won’t do, I’ll stop the world and melt with you”). Ma anche i brani restanti non sfigurano: mentre la title track e “Tablas Turning” infiammano ancora per la sapiente miscelazione di trame post-punk e incidere chitarristico psichedelico, preannunciando sonorità più tardi coltivate dai Breathless, “Carry me down” è song decisamente atipica con la sua atmosfera pastorale, veramente folksy, impreziosita dalle dolcezze di un flauto, che pare strizzare l’occhio alla contemporanea scena paisley underground di oltre oceano (Rain Parade?)

Le prova successive sulla lunga distanza non riusciranno a ripetere le magiche alchimie di "After the Snow", il suono della band, occhieggiando al mercato americano, si fa sempre più “facile”, insistendo sugli elementi pop e dance e perdendo la freschezza degli esordi, fino allo scioglimento nel secondo lustro degli eighties.

Ma se bazzicate sul loro sito è annunciata la recente reunion del gruppo nonché la prossima uscita di materiale inedito……. Stay tuned folks!!!

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REBBY 8,5/10

C Commenti

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rael alle 10:48 del 30 dicembre 2011 ha scritto:

non sono mai riuscito a giudicarli questi, forse non ci riuscirò mai_'

scottwalker (ha votato 7 questo disco) alle 10:48 del 24 aprile 2012 ha scritto:

Un buon disco pieno di spunti interessanti.