Ought
Sun Coming Down
Catartico. Il secondo lavoro a firma Ought espande e struttura il discorso iniziato con l'esordio More Than Any Other Day. E se allora persistevano elementi in qualche modo ascrivibili alla scia canadian wave (il gusto per la frenesia sghemba e stralunata che poteva essere ricondotto a band come Wolf Parade e Frog Eyes), oggi le connotazioni geografiche sembrano evaporate di fronte ad una proposta da un lato più autonoma e personale, dall'altro ancoratissima ad una "famiglia rock allargata" entro cui potremmo spaziare dai Television ai Fall, passando per Talking Heads e Sonic Youth, fino alle propaggini contemporanee vagamente waveggianti.
In poche parole (quelle del batterista Tim Keen): The songs are better. Its more complicated. The production is more interesting. Meglio di così non si potrebbe dire.
A far funzionare tutto, però, sembra essere la fortissima componente collettiva della band: Darcy, Keen, May e Steedworthy fanno dell'interazione reciproca un vero punto di forza, colmando ogni passato cedimento compositivo con un'intelligenza d'insieme che si rivela, inspiegabilmente, maggiore della semplice somma delle parti. I pezzi sono jam dal punto di vista della fluidità e della libertà espressiva, ma sono anche ottimamente strutturati, ben lungi dal suonare come sciolte divagazioni free-form. C'è espansione, c'è libertà, ma il controllo delle dinamiche sembra essere serrato.
Esemplare, perciò, un brano come Beautiful Blue Sky (di cui vale la pena ascoltare la versione live): una concitata progressione ritmica dove ogni elemento fa la sua parte per dar vigore ad una cavalcata dominata dall'incessante beat motorik e dallincredibile performance di Darcy, che fa il bello e il cattivo tempo con la sua metrica strutturante, perfettamente integrata nel flusso sonoro. Il paragone potrebbe rivolgersi ai Life Without Buildings, presenti tanto nel lirismo a metà tra lo spoken word e il sillabare ritmico, quanto nelle parti di chitarra, divise tra obliquità wave e leggere pennellate timbriche dal sapore post-rock (per respiro scenografico).
Pezzo esemplare, questo, ma non l'unico degno di nota. La tavolozza dei colori di cui dispongono gli Ought è utilizzata con sapienza, per un affresco composito e variabile. Men for Miles, in apertura, è un post-punk ruvido e dissonante, declamato in pieno stile Mark E. Smith e saturo di frenesia urbana, The Combo è una stilettata in crescendo, in continua accelerazione, mentre Celebration e Never Better si avviluppano in concitate spire psicotiche che ricordano, a tratti, l'istrionismo gotico di un Peter Murphy. Passionate Turn, dal canto suo, è il primo esempio di quella capacità compositiva che troveremo coronata in Beautiful Blue Sky: la band costruisce qui evoluzioni progressive fatte di accumuli e scariche, di campi lunghi più volte minati da cambi e assestamenti ritmici, per svolgimenti sempre condotti a conclusioni coerenti, a tutto tondo. Si prenda ancora Sun's Coming Out: suite di bordate di feedback e liriche declamate che passano dall'accumulo caotico alla stasi, fino al passo sclerotico dell'outro, il tutto entro una cornice rarefatta -come in controluce- e psichedelica.
Gli Ought sono diventati grandi e hanno dato forma ad una creatura complessa, stratificata, difficile da liquidare con sentenze affrettate. La complessità, qui, è sintomo ed espressione di creatività e di ponderazione, di vigore e dinamismo. Il percorso avviato è interessantissimo. Vedremo se porterà da qualche parte o se si avviterà su sé stesso.
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