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R Recensione

9/10

Public Image Ltd

Metal Box/ Second Edition

"This person has enough of useless memories", e quindi è tempo di limitare la responsabilità, pesante come un macigno, della sua Immagine Pubblica.

Non mi metto a ripercorrere le tappe, sin troppo note, che hanno segnato il cammino: il fracasso di Frisco, i Pistols in mille pezzi, le polemiche feroci con McLaren, che vede dissolversi nel nulla la sua gallina dalle uova d'oro; il pasticcio Sid Vicious. La maschera si frantuma, Rotten muore, Lydon invece rinasce: non è più un fumetto, ritorna una persona; le invettive a due accordi diventano un particolare irritante che ha segnato solo la vita precedente.

La fase 2.0 si apre all'insegna di motivi decisamente nuovi: la musica afroamericana è bella, i primi anni '70 non sono un deserto cuturale, si può anche pensare, comporre, mixare. Non solo gridare. Saper usare gli strumenti non è un difetto.

Lasciamo perdere il debutto, e concentriamoci su "Metal Box/ Second Edition", perché abbiamo a che fare con il disco post punk per eccellenza, con uno dei massimi parti della musica rock inglese, inimitabile a partire dalla celebre confezione artistoide e metallica.

John e la Virgin costruiscono un ensemble di musicisti con pochi rivali, in termini di coraggio, inventiva, capacità tecniche, provocazioni sonore. Come il Pop Group, Lydon, Levene, Wobble, il fenomenale Dudanski e quindi (occasionalmente, solo nelle ultime sessioni) Atkins sono morbosamente attratti - oltre che dalla droga - dalla musica nera.

Il funk martellante importato via Bristol, ma soprattutto le acrobazie produttive di reggae e dub, il basso che pompa senza tregua, le sue figure ritmiche dilatate e appiccicose. I piatti scottanti della disco music, i suoi ritmi frenetici. Manca la componente free jazz, e quindi il suono è meno fiammante, meno impulsivo, più controllato.

Più agghiacciante, però. Poche proposte sono in grado di infiltrarti nel cervello la profonda inquietudine che si mimetizza nei solchi di Metal Box. Raramente la musica ha saputo essere altrettanto opprimente: le affinità con il coevo movimento gotico e decadente sono palesi, nel mood, ma qui non c'è nulla di affettato, non c'è bisogno di truccarsi il volto. Tutto è tremendamente asciutto e pietrificato, la performance è pervasa da un'angoscia profonda, amarissima. Ma è anche satura di sarcasmo, compiaciuta del nulla che guarda dritto negli occhi.

Lydon non crea nessun regno dei fantasmi, ma ci si trova dentro, e si arrende perché loro sono in maggioranza (anzi, forse Lydon è uno di loro). Fantasmi tremendamente reali, tremendamente vicini al cuore pulsante delle nostre esistenze.

Ecco quindi "Albatross", il capolavoro del Lydon-Baudelaire, uno spaccato di maledettismo aggiornato al tempo della crisi. Il basso è tanto corposo da riscrivere le regole grammaticali del dub, elabora una sorta di funk bianco congelato. La chitarra dimentica la linearità, cancella con un colpo di spugna il concetto di armonia, lancia nello spazio stilettate graffianti, infila nei fianchi pugnalate in serie. Levene e il suo strumento solo uno dei simboli del post punk tutto, perché frantumano le certezze del rock, lo sviluppo lineare di un tema, il virtuosismo (anche se, in fin dei conti, Levene è un virtuoso). John nel frattempo sbiascica il suo ingombrante senso di paranoia, si arrende alla sfiducia. Dieci minuti di imprecazioni infernali, ecco cos'è "Albatross".

"Chant" sfrutta tutto il potere degli armonici, che la chitarra ributta come schegge. Lydon gracchia e ti mette a disago ("Voice moaning in a speaker"), la sessione ritmica architetta complesse figure geometiche di marca dub-disco, il mixaggio è stellare.

"Death Disco" è il resoconto della malattia che si è portata via la persona più cara, slabbrato e ferito, mortifica il concetto di disco music come danza. Perché qui il ballo è solo oppressione, è silenzio rabbioso: la discoteca della morte. Come noto, il singolo finirà in classifica, conquistandosi una buona posizione, ed è fra le cose più rivoluzionarie che abbiano mai investito il palinsesto tv. "Radio 4" sposta il baricentro verso un synth-pop neoclassico costato ore di lavoro in fase di produzione. Il sound è imperniato su un concetto molto eniano di ciò che la musica dovrebbe essere, con le tastiere che si aprono in volute ampie e solenni; il basso funk-disco però lancia note accattivanti e sospese, l'impasto rimane molto sui generis.

"Poptones" è dark all'ennesima potenza, e pure il mio pezzo preferito, il frammentario e macabro resoconto di vicende spaventose (uno stupro? un omicidio?). La chitarra effettata sfrutta ancora al meglio il potere evocativo degli armonici (come nella stupenda "Graveyard", il capolavoro di Levene), la circolarità ritmica e melodica del brano accentua il senso di terrore. Lydon si conferma turpe psicologo e pazzo conclamato, mette a nudo le sue patologie. "The Suit" è monotona nella parte vocale, ma dimostra le grandi abilità della band in fase di produzione, perché amplifica lo spazio e l'eco del suono, evidenzia e materializza l'impatto di ogni strumento (i piatti della batteria, ancora il portentoso giro del basso), omaggia chiaramente l'estetica dub e disco music, calandola però in un contesto decisamente meno sereno.

"Careering", secondo la critica seria, parla della situazione irlandese, ma anche di facce che piovono oltre il confine, e musicalmente è estenuante, snervante, scarnificata. Pulsa senza tregua, lascia strascichi pesanti, con il sintetizzatore che sperimenta strane onde di suono, con la sessione ritmica ancora una volta incalzante. "No Birds Do Sing" vede un Dudanski in stato di grazia assoluto (la sua performance è superbamente articolata, eppure minimale), la cantilena stonata di Lydon questa volta è tremendamente efficace e imbronciata, Levene è il solito guastatore sonico. Si tratta di un pezzo meraviglioso, non si fosse capito, della celebrazione definitiva dell'Immagine Pubblica

Raramente capita di imbattersi in musica tanto opprimente e insostenibile, dicevo. Eppure, per dire, "Albatross" possiede un potere sinistro: vorresti che finisse, e al contempo desideri che non la smetta mai, che il suo battito ti calpesti all'infinito.

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Voto degli utenti: 9,2/10 in media su 13 voti.
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zagor 10/10
Cas 9,5/10
gramsci 10/10
Zeman 10/10
ThirdEye 10/10

C Commenti

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zagor (ha votato 10 questo disco) alle 11:09 del 12 luglio 2013 ha scritto:

dieci secco, bella recensione.

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 12:25 del 12 luglio 2013 ha scritto:

Sì ero tentato anche io di dare il massimo dei voti, diciamo che ho preferito un minimo selezionare e riservare il fatidico 10 a pochissimi lavori. "Albtross" e "Poptones" sono comunque due monumenti, due momenti chiave della musica contemporanea. Ma anche "No Birds Do Sing". Ma anche "Careering". Ma anche "Death Disco". Sì insomma tutto o quasi, Lydon è il non-musicista più geniale di tutti.

Marco_Biasio alle 14:16 del 12 luglio 2013 ha scritto:

Un disco d'importanza capitale che ascolto solo una tantum. Ancora troppo pesante per me l'ascolto difilato, sebbene colga tutta la genialità e l'innovazione del progetto. Sontuoso Francesco!

zagor (ha votato 10 questo disco) alle 14:27 del 12 luglio 2013 ha scritto:

anche "first issue" è splendido, i PIL erano erano troppo avanti per i loro tempi.

Cas (ha votato 9,5 questo disco) alle 14:34 del 12 luglio 2013 ha scritto:

Un disco magnifico. Dopo le deludenti prove con i Pistols, Lydon si rivela per il genio che è. La cura della produzione, dei suoni, degli ultrabassi dub, la furia sperimentale della chitarra di Levene... Tutto davvero splendido, un manifesto influentissimo.

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 14:56 del 12 luglio 2013 ha scritto:

A me piacevano pure i Pistols, se presi a piccole dosi, ma qui siamo proprio sopra un piano diverso.

Cas (ha votato 9,5 questo disco) alle 15:07 del 12 luglio 2013 ha scritto:

certo, pure a me, pur pensando che ci sono tanti dischi punk migliori di Nevermind e che questo deluda un pochino le attese di "disco più rivoluzionario e anarchico di sempre" legate alla mitologia punk della band si, con i Pil e con questo disco qui si va nello spazio...

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 15:18 del 12 luglio 2013 ha scritto:

Ah beh, già la "The Clash" possiede una potenza spirituale e una foga da barricate superiore a Nevermind TB, non parliamo dell'hadcore americano (anche quello nudo e crudo) che ha sfrornato decine di ottimi dischi, molti superiori al debutto, non parliamo dei Ramones.

Ecco per dire che la mitologia è sicuramente esagerata, ma ci sono comunque cose valide anche nei Pistols.

Qui e con Flowers of Romance si va proprio oltre, si sonda i territori di Television Pere Ubu Pop Group e gli altri giganti della new-wave (non parlo di stile ma di grandezza eh).

benoitbrisefer (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:38 del 14 luglio 2013 ha scritto:

Seconda parte di un trittico veramente devastante e caposaldo del post punk inglese..... però a me piacevano anche i Pistols!

ThirdEye (ha votato 10 questo disco) alle 16:40 del 21 settembre 2014 ha scritto:

Caposaldo.

Spakka1985 alle 23:24 del 22 giugno 2021 ha scritto:

È una calda sera di fine giugno... la mia compagna è al mare con il piccolo. Ho il divano e l'hi-fi tutto per me e decido di mettere su uno di quei dischi "difficili"...uno di quelli che non si può mettere su la domenica mattina mentre si fa colazione con la famiglia. Metto su Second Edition (1 stampa ITA, qualità di stampa davvero impressionante) ed inizio il mio viaggio di paranoia claustrofobica...ma cerco di non farmi trasportare completamente... ascolto i dettagli e provo a capire cosa diamine abbiano combinato quei pazzi. C'è una ricercatezza estrema dietro a questo lavoro, che non si trova spesso. Ad oggi rimane uno dei dischi più sconvolgenti ed originali che abbia mai ascoltato. Lo definirei il "Beaches Brewe" del post-punk. Capolavoro!