R Recensione

5/10

Stellastarr*

Civilized

Ben quattro anni ci sono voluti agli Stellastarr* per arrivare alla terza tappa dopo le fatiche del disco omonimo e del seguito “Harmonies For The Haunted”, che una certo eco l’avevano avuta nel panorama di revival post punk più tenebroso di metà decennio. Lo iato, a ben vedere, ha portato più danni che fortune, il primo di essi essendo il problema alla gola accusato dal leader Shawn Christensen: la conseguenza prima dei malanni di salute è stata, a dire del diretto interessato, un obbligato cambiamento del registro vocale, spostato su accenti decisamente più alti rispetto al passato.

Christensen, quindi, non gioca più a toccare le profondità baritonali alla Curtis di una “In The Walls” (tuttora il loro capolavoro su 45), facendo scemare, a braccetto, il grado di cupezza dell’intera proposta musicale. Gli Stellastarr*, ora, suonano un buon indie rock melodico che tocca new wave e post punk per colorarli di cromatismi pop a dir poco inattesi, e il meccanismo di risvoltamento del guanto funziona solo a tratti lungo questi dieci pezzi. Tanto che appare evidente come i pochi momenti legati alla poetica dark degli esordi spicchino per incisività e appeal: “Warchild”, per dirne una, gioca nella strofa su incroci tra basso e chitarra e nel ritornello tra le voci di Christensen e Amanda Tannen in modo ossessivo ed efficace, sotto a un testo che fruga nei tormenti adolescenziali per tracciare solchi più abissali («This schoolgirl is lost inside the math / Is there a way to bring her home? / Is she growing up too fast?»). La sicurezza della vecchia scuola.

Se altrove sembra di ascoltare un’altra band nel confronto con il passato, la delusione non arriva tanto da un senso di tradimento verso i suoni e la poetica ai quali ci si era affezionati (ché l’ascoltatore reazionario, si sa, ha sempre torto), ma da una montante sensazione che non è un rock alla Kinks quello che gli Stellastarr* sanno fare meglio. C’è più divertimento, sì: “Prom Zombie” è da mettere sul piano di proposte come quelle di Futureheads, Kooks e Five O’Clock Heroes (addirittura fanno capolino gli Okkervil River di “The Stage Names”), e “Graffiti Eyes” sfoggia un basso a balzelli, bricconcello e assai ruffiano, per un’azzeccata live-song (che si conclude, non a caso, tra applausi riprodotti su disco). Ma è una maniera, gestita con il minimo sforzo, che tra le mani sfocate e nervose dei quattro appare stonata: le testimonianze di una secca intensità emotiva restano, ad album concluso, molto labili.

Qualche canzone pop-wave va bene (“Freak Out”), qualche flirt con gli Interpol è dato per inevitabile (“Move On”), qualche passaggio più sodo è salutare (“Numbers”, l’anodina “Robot”), ma l’insieme appare poco più di un gradevole diversivo. La civilizzazione ha tolto luce agli Stellastarr*.

LINK:

Myspace: www.myspace.com/stellastarr

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benoitbrisefer alle 13:18 del 25 luglio 2009 ha scritto:

Le prime due opere degli Stellastarr erano state una più che gradevole scoperta e non erano rari i momenti in cui il loro post punk/dark wave risultava davvero convincente tanto da non sfigurare al cospetto di gruppi più quotati come i citati Interpol. La recensione di Target mi sferra un duro colpo... li sentiremo e poi voteremo, ma le premesse non appaiono buone...