The Fall
This Nation's Saving Grace
And when she talked about the fall, I thought she talked about Mark E. Smith
Confesso: dopo un primo approccio improntato alla diffidenza, ho riscoperto il genio di Mark E. Smith grazie a Jens Lekman, un autore non potrebbe essere più lontano in termini estetici e umani (un brutto ceffo che parla di merda che rovina la faccia vs. il bravo ragazzo romantico tutto lacrime e sentimenti), e che pure lo menziona in una delle sue numerose, splendide ballate.
La Caduta: Mark E. Smith e compari, cresciuti fra i mattoni rossi di un Manchester in decadenza (gli anni 70 della crisi petrolifera e degli hoolingas, le stesse colonne di fumo da cui sono nati Ian Curtis e compagnia), sono personaggi colti e forbiti, agitatori intellettualoidi e anticonformisti.
Eppure, trasformano l'universo delle accademie e dell'Arte Seria (quelli che scambiano congratulazioni formali alle mostre) nel bersaglio prediletto dei propri strali.
Mark E. Smith detestava tutto ciò che era snobismo e laura di importanza della Cultura Ufficiale, elogiando al contempo i personaggi più improbabili (auspicava di diventare come i quaranticinquenni ubriaconi, tifosi sfegatati dello United, che mettono radici nelle bettole della Manchester periferica e che sputano taglienti sentenze sul mondo intero, dal fondo del barile di immondizia dove hanno deciso di vivere).
Eppure, i suoi riferimenti sono chiaramente alti: Albert Camus regala il nome alla band, e il suono per quanto sgangherato, ignorante, volutamente approssimativo mutua idee dai Velvet Undergound più ossessivi e strambi, dalla tradizione folk britannica, dal minimalismo circolare e stordente dei krauti (a momenti i Fall sembrano i Can in versione punk). Musica che lo stesso Smith definisce head, ovvero drogata, e che pure è insinuante, furtiva, più che autenticamente psichedelica: una sorta di art-punk alterato, sporco e cattivo. Qualcosa a che fare con Swall Maps, Stranglers, ma i Fall sono unici.
Quanto a qualità vocali, poi, Mark fa a gara con Lydon e si contende la palma di peggior cantante dellera: se Lydon sembra una capra in agonia, Mark è anche peggio perché non fa che ringhiare, sghignazzare, sbiascicare le parole, contorcersi in estenuanti narrazioni ellittiche, surreali e scabrose, che fotografano la realtà della società britannica da un punto di vista perennemente antagonista.
Smith non ha il minimo rispetto per il bel canto, lintonazione, la stessa melodia: ciononostante, risulta perfetto per i suoni brani, che varrebbero la metà senza il suo sinistro, (apparentemente) antiestetico contributo.
I Fall erano ambigui: sfoggiavano simboli nazi, suonavano ai concerti organizzati dalle associazioni anti-razziste, e poi mettevano alla berlina la società inglese e il suo sistema gerarchico senza adottare una chiara posizione politica: Mark massacrava con la stessa disinvoltura lalta borghesia, viziosa e ipocrita, e la gretta ignoranza senza speranze della classe operaia, perversamente fedele alle proprie sciatte abitudini e priva di prospettiva.
E' un uomo del popolo, ma fondamentalmente un contestatore totale, incapace di scendere a compromessi. Con chiunque.
This Nations Saving Grace, in tale prospettiva, è un disco meno estremo e cruento rispetto ai primi. Forse, è un disco più musicale: meno ossessivamente monotono, prova a abbozzare qualche spunto melodico più articolato (My New House, la meravigliosa, quasi divertita Barmy). Per questo piace molto, anche al sottoscritto: porta le idee di radicali di Smith in un contesto leggermente più comprensibile, ed è forse il disco migliore della band, in termini compositivi, dopo il folgorante debutto ("Live At the Witcht Trials", più scorbutico e rumoroso, ma ritmicamente più ricco e imprevedibile).
Certo, il sound ruota sempre attorno ai consueti concetti: batteria che ricicla lo stesso giro allinfinito introducendo però mille, decisive variazioni; chitarre deturpate e sporche che si trascinano estenuanti, annegando ogni parvenza di riff e di eleganza esecutiva (gli stilemi del rock progressivo) dentro squarci di rumore divaricato; un organo sinistro che regala coesione al sound, evitando che si disperda, figlio della psichedelia più rumorosa e sporca.
Nonostante questa voluta sciatteria, la musica suona non solo inquieta, ma anche a suo modo elegante e ballabile: pare adatta per balli sconnessi e fuori frequenza, sembra voglia far pogare mandrie di disadattati in preda allalcool.
In alcuni momenti, le ambizioni colte e ad ampio respiro della band si manifestano con più veemenza, quasi che Smith per un momento volesse riconoscere di essere parte (per quanto, in posizione defilata) di quella Intelligenza che pure massacra con cinica precisione: I Am Damo Suzuki (omaggio a un oscuro krauter nipponico), pur se sfibrata dal suo ripetitivo, arrogante piglio canoro, origina trame circolari alterate che sono uno splendore. La batteria dimostra di sapere il fatto suo, tanto che è doveroso evocare la postpsichedelia concettuale dei Can. Anche Spolit Victorian Child è notevole: si spezza di continuo e poi diventa allusiva, sinuosa, trasformando una specie di inno alla Pistols in un folk-rock allucinato e pieno di attrito.
Questa è musica spietata, che massacra allegramente tutti i canoni tradizionali della bellezza (in effetti, quando un amico mi ha chiesto se questo disco era bello, non ho saputo rispondere), e che pure riesce in qualche modo a conciliare gli estremi, a suonare bene.
Tantè vero che ispirerà una fetta importante del rock alternativo che verrà, dai Pavement allo shambling rock della West Coast.
I Fall a momenti sono piacevoli come un parafango che sfrega lasfalto, eppure non posso fare a meno di adorarli: art-punk rumoroso e strampalato per geniali anti-intellettualoidi dotati di un immenso bagaglio culturale. Musica forse scomoda, ma chi ha bisogno di comodità, in questi tempi truci?
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