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R Recensione

5/10

Vitas Guerulaïtis

S/T

Vitas Gerulaitis era una leggenda del tennis a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, vincitore dell’edizione ’77 degli Australian Open. Il suo ultimo match, prima di una sfortunatissima morte prematura, lo vide calcare la terra rossa nel 1989, sorretto scherzosamente da un paio di stampelle, quasi a voler rimarcare l’inevitabilità della caducità agonistica di fronte al passare del tempo. Qualcuno parlerebbe di fantasport, altri di semplice supercazzola prematurata, ma pensate a cosa sarebbe successo se, per assurdo, avesse deciso di presenziare ad ogni sfida ricoperto di grucce: niente scatti, gioco frammentato, movimenti essenziali quando non ridotti a zero, uno sforzo disumano ad ogni colpo. Rivoluzione nel tennis e notevole divertimento per il pubblico, quantomeno.

Certo non hanno bisogno di compatimento paterno, i belgi Vitas Guerulaïtis (voluta storpiatura?), ma certo un po’ riesco a capirli. Riesco a percepire l’irriverenza, il fervore iconoclastico, l’arroganza anarcoide che possiede la loro musica, lo scazzo esistenziale che percorre le nevrasteniche cuciture strumentali, figlie dello shitgaze – già diventato padre! Non ci sono più i contraccettivi di una volta! – e nipotine della no wave americana di fine ’70 (che l’atleta lituano avesse modo di ascoltare James Chance nella Grande Mela?). Il punto di rottura, giunti a tale esito, è pressoché totale: le canzoni si trasformano in ammucchiate di segmenti, deliri vocali, sample ritmici, paranoie personali. Trasfigurano la realtà di un mondo in devoluzione, di un paesaggio in crollo perpetuo, di un futuro inesistente, utilizzando la forza bruta e coercitiva della grottesca sardonia piuttosto che slogan ricoperti da muffa. Niente di più e niente di nuovo. Per quante pesanti depressioni si potranno attraversare, ci saranno sempre i Vitas Guerulaïtis di turno: la storia è nostra testimone.

Il fatto è, dicevo, che il fascino del caos può risultare fatale per chi non ne è ancora in grado di gestire i contraccolpi. La forza dell’albero genealogico da cui discende il disco fa sì che non siano certo credibili possibili obiezioni di inascoltabilità, avanzabili sono in caso di dilettantismo tecnico o scarsa sensibilità ricettiva. Impossibile, tuttavia, non attribuire alla smisurata ambizione di “S/T” i peccati di immaturità ed autoreferenzialità, particolarmente acuti laddove si sente la cronica mancanza di un timone autorevole nell’oceano di uno sperimentalismo spicciolo, insistito, frantumato. Solo “Méchante Armée”, demente post-punk cantato da una Galàs delle banlieues, il finale electro-noise di una “Cellule Invisible” sospesa tra minimalismo, plunderfonia ed art rock e le micidiali girandole di cacofonia composita nell’iniziale “Ben Hur” riescono a superare il crash test. Gli esiti sono terribili quando, nella foga di accumulare, tendono a strafare – ovvero quasi sempre –, tagliando la stricnina math di “Panda Géant” con insopportabili sfaccettature metateatrali e rumorismi gratuiti, o sprecando un’interessante sezione psych-noise (come volcano! e White Hills assieme) all’interno della matrioska a tenuta stagna di “Quinze Août”.

Vitas Guerulaïtis, se ci siete, battete un colpo. O un servizio, che fa lo stesso.

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ozzy(d) alle 9:52 del 4 novembre 2011 ha scritto:

grande vitas gerulaitis, un nobile residuato della giovinezza di stoke. buon tennista ma sfortunato, capitato in un'epoca di autentici mostri ( borg, connors, mcenroe, lendl) che gli hanno impedito vittorie più prestigiose.