Wire
Pink Flag
Vocals-COLIN (Black hair)
Drums-ROBERT GOTOBED (63)
Guitar-B.C. GILBERT (Blue eyes)
Bass- LEWIS (9st. 6lbs)
A parte le fotografie che le accompagnano, queste sono le sole informazioni che la band ci fornisce nella back cover di questo audace e stridente debutto. È lo stesso senso di dettagli parziali accoppiati a informazioni mancanti che nutre i Wire e le loro strategie musicali in questalbum di chitarre ronzanti. E le informazioni mancanti abbondano, dato che poche tracce durano più di due minuti, e la maggior parte ne dura meno di uno; sono fatte di dettagli, definizioni e scenari geografici: un labirinto di riprese tra lironico e il nonsense la cui cura per la definizione stride con lapparente mancanza di una conclusione significativa.
Ma Pink Flag è composto da 21 missive asciutte, corrosive più che da canzoni, che sono per la maggior parte urlate e suonate alla velocità di musicisti che hanno misurato i perimetri da dare alle loro creazioni prima di tutto sulla durata, poi sui testi, prima di farle diventare musica. E questi rigidi paletti hanno creato un sistema sonoro finale che ha riecheggiato sonoramente, influenzandoli, nei decenni successivi.
I Wire hanno ridotto la musica pop a qualcosa di precisissimo eppure indefinibile; come nei dipinti enigmatici di Magritte, se pure tutto appare ordinato e finalizzato a qualcosa, spesso sembra comunque... stonato. Con questi 21 rompicapi di potenziale irrealizzato i Wire sono riusciti nellintento di far diventare il punk una forma darte più matura: lhanno denudato ulteriormente e hanno aggiunto argomenti presentati senza biasimo preconcetto, inquadrandoli da un punto di vista costantemente teso a un dettaglio grottesco che più che chiarire disorienta. Nonostante i Wire non si considerassero punk essi stessi, molti dei temi tipici del punk ricorrono nellalbum: lodio per i media, la politica, il sesso, riempiono testi che qui diventano ritagli di giornale, frammenti di un documentario estrapolati dal loro contesto, minuzie estemporanee.
Il lessico del primo punk inglese è riutilizzato dai Wire come scheletro con cui imporre le loro coordinate, e non stupisce come limmaginario delle mappe, dei territori e delle guide geografiche proliferi in molti dei testi e dei titoli delle canzoni. Ma la cosa più strana di Pink Flag è che a dispetto di tutte le sue tendenze mono-soniche, quelle che si sviluppano sotto la distorsione sono orecchiabili strutture di attrazione gravitazionale squisitamente pop, che attraggono miracolosamente la melodia facendola affiorare in superficie. Lintento ironico del gruppo diventa evidente: e anche la proverbiale stringatezza di questo suo debutto sembra voler sfidare il pop al suo stesso gioco, uscendone vincitore per grandezza filosofica più che per il gioco pretestuoso ma caustico del quanto può essere corta una canzone?.
Certo, è una sfida che avrebbero potuto intraprendere in tanti. Questo è un album innovativo, intelligente, e pure dannatamente figo. Ma è anche il risultato prevedibile di ciò che succede quando dei ragazzi capaci, acuti, usciti da un art college con la mente impregnata di post-modernismo si riuniscono e dicono: Il punk è pazzesco, ma non sarebbe ancora meglio se ce ne prendessimo gioco in modo elitario?. Sarebbe potuto accadere a chiunque con una mente razionale e un certo tipo di educazione artsy. Ma è semplicemente successo che i Wire, nel dicembre del 1977, abbiamo registrato il primo album di meta-punk della storia; il "Trout Mask Replica" del punk. Solo che io preferisco "Pink Flag", perché riesce a trovare un modo più diretto, potente e godibile di unire il tradizionale e lavanguardistico. Se non riuscite ad afferrarlo o a farlo vostro, alzate il volume al massimo e mettete in play Surgeons Girl. Ascoltate la furia di quel riff di un solo accordo mentre riduce il vostro corpo in brandelli!
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