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R Recensione

7/10

Tony Banks

A Curious Feeling

Ultimo notevole affresco di progressive crepuscolare e romantico proveniente dal mondo Genesis, pubblicato nel 1979 un anno dopo il fiacco e semi poppistico lavoro in trio “And Then We Were Three”, quest’album illuse al tempo gli appassionati del gruppo, dando loro la sensazione di una sostanziale tenuta dell’ispirazione colta e nobile dei loro beniamini, con la quota canzonettara sì in sospetto incremento, ma inquadrabile come semplice e in fin dei conti sostenibile diversivo “alimentare”.

Così non è stato e quest’esordio solista del co-fondatore, tastierista e principale compositore della gloriosa formazione rimane l’ultima cosa veramente gustosa della loro storia, a mio vedere con buona pace anche dell’agguerrito, sovente permaloso battaglione di fan della carriera solista di Peter Gabriel, nei confronti della quale mantengo personalmente un modesto trasporto (aneddoto… l’altro giorno mi stavo gustando un dvd di Gabriel dal vivo in terra di Francia e mio figlio dopo tre quarti d’ora sbotta: “Pa’, che depression!”).

Niente depressioni invece in queste undici tracce, piuttosto una spiccata, autunnale malinconia trasmessa dallo stile barocco e romantico caro (ancora per poco) al titolare, qui in totale libera uscita senza essere contaminato ed alleggerito dalle abituali ironie e bizzarrie di Gabriel o di Collins. Al microfono evoluisce infatti l’assorto e composto Kim Beacon, cantante dei folkettari scozzesi String Driven Thing, scelto da Tony per intonare col suo ieratico vibrato ed il suo stile intimista le belle costruzioni melodiche, avanzate per qualche ragione dal repertorio Genesis ma ben degne di essere fissate indelebilmente su disco.

Sfruttando le proprie doti anche di multi-strumentista il buon Tony fa quasi tutto da solo, mettendo mano anche a chitarre 12 corde e basso, delegando solo le percussioni al fido Chester Thompson, batterista storico della versione Genesis con Collins frontman.

Il suono del disco è dominato dal timbro martelloso ed alterato, obsoleto ma forse proprio per questo suggestivo in musiche così crepuscolari ed evocative, del pianoforte elettronico Yamaha, il primo del genere con un suono più che decente e che per questo aveva finalmente risolto a Tony parecchi problemi di resa pianistica e di praticità sul palco. Tale la riconoscenza del musicista, nonché la sopravvenuta abitudine al questo suono, da venire preferito per anni persino nei lavori di studio come questo, quando obiettivamente un più che procurabile Steinway a coda resta tutt’altra cosa, ma tant’è.

Ballate pianistiche o più raramente chitarristiche, mid-tempos gonfi di sintetizzatori e qualche strumentale d’atmosfera si susseguono con regolarità, mantenendo il disco molto compatto per via della particolare, comune sonorità di cui si è già detto e per la mancanza di alter ego compositivi. Qualche volta le ballate restano tali, morbide e rotonde, dall’inizio alla fine: è il caso della mirabile “Lucky Me”, scandita dai rintocchi della dodici corde e sconsigliabile ai diabetici per il suo altissimo tasso di saccarina.

Altre volte si ha piacere di attraversare corpose e cangianti sezioni strumentali, nelle quali viene in genere cavalcata un’altra specialità della casa: l’assolo funambolico e iper-strutturato di sintetizzatore, preferibilmente su tempo dispari di 7/8 (quello di “Cinema Show”, quello di “Dance on a Volcano”…). È soprattutto il caso di “You”, una canzone che adoro e che avrebbe avuto un posto d’onore e soprattutto molta maggior celebrità se pubblicata in uno dei grandi affreschi progressivi dei Genesis 1970-77, da “Trespass” a “Wind & Wuthering”.

Rifulgono un po’ dappertutto in quest’opera le caratteristiche e le inclinazioni musicali di questo tastierista storico e fondamentale per il progressive: la grande capacità di orchestrazione, la sensazionale inventiva armonica (in ambito romantico) che lo porta a creare struggenti progressioni di accordi come nessun altro (e dire che di carattere tende invece allo scorbutico e permaloso andante… anche per lui il linguaggio musicale è di gran lunga il modus optimus di comunicare!).

Crepuscolare, Viscontiana, barocca, nostalgica e sottilmente depressiva, quest’opera ci sta proprio bene come pietra tombale della grande stagione settantiana dei Genesis, molto più degli imbastarditi, coevi album di gruppo “...And Then We Were Three” e “Duke”. In definitiva un bel disco ma non sempre, avendo caratteristiche che per intendersi possono riferirsi alla cioccolata: squisito, ma a rischio di stucchevolezza.

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Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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magma 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Utente non più registrato alle 2:12 del 5 febbraio 2012 ha scritto:

Curioso ed interessante l'esordio solistico di Banks

magma (ha votato 7 questo disco) alle 19:45 del 29 febbraio 2012 ha scritto:

Un buon esordio per un musicista e compositore che nella sua carriera solista avrebbe potuto fare molto di più di quanto ha fatto, sempre alla ricerca del successo commerciale e della canzonetta facile. Come buttare via un immenso talento. Questo però è buono, c'è "Waters of Lethe" che forse il suo capolavoro e altre 3-4 belle canzoni ma è un disco comunque piuttosto stucchevole, dopo qualche ascolto mi ha stancato e non lo ascolto da tempo. Della fase solista pre-Seven di Banks gli preferisco "Still". Resta un disco di classe, tra pop, barlumi di progressive e il tipico romanticismo banksiano, ben suonato e mal cantato (mi scusi il compianto Bacon), sicuramente tra i suoi migliori. Decisamente superiore la sua recente fase dedicata alla classica contemporanea: "Seven" del 2004 è un bel disco e ora è in uscita il secondo lavoro di questo genere. Banks ha tempi di pubblicazione biblici ma almeno si è rimesso a far musica.