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R Recensione

5/10

Elio E Le Storie Tese

Figgatta De Blanc

Non tutti saranno a conoscenza di come il culto di Amici Miei, all’inizio degli anni ’90, fece breccia anche a Paperopoli. Le penne (calembour non cercato…) di Nino Russo e Alessandro Perina si divertirono a immaginare Paperino alle prese con una rimpatriata tra vecchi amici di scuola, formalizzatasi come simulacro ai lazzi irriverenti che resero celebri nel mondo i terribili quattro fiorentini + uno (schiaffi a sconosciuti sul treno in partenza inclusi). La chiosa, da copione, era amara: inutile cercare di perpetuare ad infinitum ciò che è stato in gioventù, giacché i metri di giudizio dell’età adulta non permettono uguale flessibilità e comprensione. Sembra, nemmeno a farlo apposta, la perfetta epigrafe all’esperienza di Elio E Le Storie Tese, inossidabile famiglia ben più e ben prima che semplice “complessino”, negli stessi giorni in cui Rocco Tanica annuncia il suo ritiro dall’attività live e si susseguono dichiarazioni che alludono ad una vicina cessazione della produzione in studio. Dopo trentacinque anni e passa di intenso su e giù per l’Italia, è un’ipotesi che sarebbe conveniente cominciare a prendere in considerazione. La stonatura non cova nel ritiro, ma nelle sue modalità: dispiacerebbe far calare il sipario sulle note, modestissime, del decimo “Figgatta De Blanc”, che conferma il trend assai negativo inaugurato da “Craccracriccrecr”, solo stemperato dai buoni “Cicciput” e “Studentessi” e nuovamente accentuatosi ne “L’Album Biango”.

Pur mai sobri ed essenziali nei loro dischi, Elio E Le Storie Tese sopperivano a verbosità e abbondanza con la creatività dei tempi migliori, l’acume di arrangiamenti spettacolari ed un’ironia al vetriolo assolutamente inimitabile. Oggi, che la maniera è andata ritagliandosi porzioni sempre maggiori, le intuizioni musicali sono retrocesse a favore di una sterile tecnica strumentale esibita a piè sospinto e la pointe epigrammatica è un fantasma lontanissimo di quella, acuminata, dei grandi classici, arrivare alla fine dell’ascolto assume le proporzioni di un’impresa titanica. Tanto cospicue sono le forze spese nella decodifica di “Figgatta De Blanc” quanto spicciole, a conti fatti, le soddisfazioni della buona riuscita. Si traccheggia in lungo e in largo lungo un’infinita tracklist popolata da brani estenuanti, con la sensazione, netta e crescente, di girare in tondo, senza mai centrare il bersaglio. “Parla Come Mangi”, dove Cesareo divide il microfono con Elio, è un facile power rock vitaminizzato contro l’anglomania dilagante nel lessico italiano, inutilmente allungato da un fastidiosissimo Mangoni alle prese con una lista demenziale di neologismi, storpiati in maniera bambinesca e finanche irritante. “Il Rock Della Tangenziale” è l’ennesima, fiacca rivisitazione di “Jailhouse Blues” (con un J-Ax a timbrare il cartellino d’ordinanza): “Il Primo Giorno Di Scuola” (didascalica come da titolo) indugia con ancora meno fortuna ai margini dell’hard rock, con un ritornello vagamente funk d’incisività nulla. Questo a citare solo i brani mediocri, la maggioranza, senza insistere su quelli genuinamente brutti, altrettanto numerosi, tra inutili riempitivi (si spera di non risentire mai l’esperimento corale di “I Delfini Nuotano” in concerto!), cover risibili (come “Il Quinto Ripensamento”, versione barocca di “A Fifth Of Beethoven” di Walter Murphy, presentata anche all’ultimo Festival di Sanremo), cut’n’paste finto-zappiani di vuoto pneumatico (“Vincere L’Odio”, di divertente, non ha nemmeno il procedimento di ideazione e costruzione, a differenza de “La Canzone Mononota”) e disco-funk da nosocomio (“Vacanza Alternativa” ricicla, per l’ennesima volta, il personaggio del trans: sindrome Squallor?).

Ci si può sempre aggrappare, poi, al danzereccio tropical-prog di “Cameroon” (i Vampire Weekend trascesi ad un livello strumentale decisamente superiore: la sorpresa del disco), al rigoroso saggio d’accademia di “Ritmo Sbilenco”, al Rocco Tanica vocoderizzato versione soft-porn-lounge di “She Wants”. Ci si può imbattere, inavvertitamente, nella voce inconfondibile del compianto Francesco Di Giacomo, attore unico di una pièce floydiana antimilitarista da brividi (“Bomba Intelligente”, con sontuoso assolo al violino elettrico di Mauro Pagani, meritava di essere inclusa in ben altro disco). I sorrisi, però, rimangono inequivocabilmente stiracchiati: gli sbadigli profondi, da narcolessia. “Figgatta De Blanc” cita, taglia, cuce, si dimena per trovare una propria collocazione e, infine, sprofonda, vittima predestinata della propria autoreferenzialità. Come a dire che c’è stato un tempo per tutto e quel tempo, ahinoi, non è (più) adesso.

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Utente non più registrato alle 10:06 del 2 maggio 2016 ha scritto:

Onore agli EelST per aver reso omaggio al grande e indimenticabile Francesco "Big" Di Giacomo con un brano inedito.