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R Recensione

7/10

Eloy

Dawn

Le atmosfere cosmiche e riecheggianti dei Tangerine Dream, piuttosto che gli embrioni elettronici dei Kraftwerk e più in generale il kraut rock per eccellenza, non erano gli unici panorami a descrivere concretamente la Germania degli anni Settanta. Ad essi non mancavano le influenze – ormai all’apice – di quella corrente progressista inglese che qualche tempo prima aveva esportato nomi ben noti all’Europa (Yes, Genesis, King Crimson). Gli anni che corrono hanno già conosciuto il pieno sviluppo del prog, eppure gli Eloy, che avevano apparentemente chiuso i battenti nel 1975, riappaiono l’anno nuovo con una nuova formazione.

Così, tra i cieli stellati e le atmosfere cosmiche, emerge un disco “terrestre”, “Dawn”; una rinascita, un nuovo inizio. Una “reincarnazione”, come suggerisce “Awakening”, tra sciabole di violini e cieli tempestosi. Sono nubi passeggere, squarciate dalle corde che aprono la strada alla voce. È un rapido accelerare per poi sfociare in “Between The Times”. La chitarra riscalda perpetuamente il tessuto musicale, rinfrescato da tocchi cristallini del pianoforte in cui la voce naviga nei suoi tempi passati, ma soprattutto dentro sé stessa. Le cadute delle percussioni, accerchiate dalle chitarre, scandiscono continue riflessioni esistenziali. Il brano procede rapidamente tra continui cambi, tra cieli al tramonto e notturne riflessioni (è qui il dialogo interiore con la voce femminile).

The Sun-Song” preannuncia dunque un viaggio che solo apparentemente è da svolgere all’esterno. Distese di tastiere vengono indurite al suono della batteria, ripiegandosi con le chitarre. Le delicate carezze degli archi incitano l’inizio del cammino, dell’alba, abbandonando le lontane distese spaziali dei sintetizzatori.

The Dance In Doubt And Fear” è il vincolo, la paura, la tentazione. Le percussioni grattano il tessuto musicale, in cui tornano a fluire i venti di tastiere su cui sussurrano continue indecisioni da parte della voce. Questo intreccio è scandito dai continui nodi di chitarre in cui procedono matasse di pensieri. Il testo continua a mostrare una continuità in un viaggio che tramuta immediatamente “Dawn” come un concept in cui il protagonista è ancora una volta l’individuo, con tutte le metafore che seguono; l’alba diventa insomma oggetto di mistero, di meta ma anche di fuga, probabilmente riferita al sistema (“Don't dare to chase the early rising sun one day / Or am I condemned forever in try / To break the rules of fools”).

A questa confusione non resta che procedere con l’errore finale (come detto alla chiusura di “The Dance In Doubt And Fear”), ovvero il completo smarrimento: “Lost”.

Suddiviso in due momenti (“Introduction” e “The Decision”), “Lost” si affaccia tra gelidi cori e calde ventate di sintetizzatori dalla quale corrono percussioni e continui volteggiamenti delle tastiere, fino a raggiungere, anche qui, lo spazio. Verosimilmente come “Awakening”, il brano è accarezzato dagli archi. Si riparte poi con tastiere ben più compatte, dalla quale si slanciano basso e chitarra (è l’atto “The Decision”), meno impattante musicalmente ma più interessante nel contenuto, tra continui vortici di chitarre ed esplosioni di sintetizzatori.

The Midnight-Fight/The Victory Of Mental Force” mostra dunque un ritmo più deciso in cui le tastiere si raffreddano, lasciando posto ad una corsa in cui chitarre e archi si contrappongono, lasciando indietro un cantato più debole. Non mancano i momenti lasciati alle tastiere, anch’esse sopraffatte fin troppo dalle corde. L’immediato cambio con “The Victory Of Mental Force” (con chitarre che riecheggiano per un attimo i Jethro Tull di “Thick As A Brick”) vede un progressivo tramonto degli archi a favore delle tastiere, senza rinunciare ai continui ruggiti delle chitarre. Eppure, come mostra l’ultimo saluto della chitarra, la struttura pecca occasionalmente di forza, di volume, di forma.

Gliding Into Light And Knowledge è accolta da cinguettii di tastiere e brillanti percussioni, con una struttura che lentamente levita, verosimilmente al testo (“Where are my arms / I'm missing you, can see through you / I'm missing pain and movement”). Il cantato è continuamente circondato dagli archi: l’intera trama si accascia alla meta, il sole.

Le Réveil Du Soleil” ricicla i cinguettii per introdurvi mari di tastiere e cori vaporizzati, tra rintocchi di batteria e intrecci di chitarre. L’alba è dunque rappresentata da corposi volteggi di tastiere che comunicano con la chitarra, chiudendo il disco.

Seppur ambizioso nel contenuto e avvalorato da un successo commerciale superiore rispetto agli album precedenti, “Dawn” mostra occasionalmente qualche incertezza nel cantato e mancanze (di potenza) che avrebbero potuto dare una carica maggiore, soprattutto alla seconda parte del disco. Ciò non toglie che si tratti di un lavoro interessante, un viaggio che spazia tra calde atmosfere desertiche, fredde notti, ma pur sempre culminante nell’universo che tanto si ammira…

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