V Video

R Recensione

5/10

Goblin

Four Of A Kind

Chi volesse un esempio di come (quasi) la stessa formazione possa fornire, a breve distanza temporale, due riletture del proprio stile assai differenti sul piano della polarità, non ha che da accomodarsi. Se per l’omonimo first act dei Goblin Rebirth si potrebbe parlare di fedeltà autoindulgente, ma al passo coi tempi (invero discreta), nulla più che passatismo e retromania incallita offrono i Goblin (quel “4” sulla cover è un numero necessario per differenziarli dal raccogliticcio progetto di Claudio Simonetti). La discontinuità maggiore viene marcata dalle due sezioni chitarristiche: tanto deferente – ma brillante – quella di Giacomo Anselmi, quanto irrimediabilmente antiquata quella dello “storico” Massimo Morante. Lasciate che sia “Uneven Times” a dissezionare il concetto: classic prog che più di così si muore, come se nulla tra il 1975 e il 2015 fosse passato (o forse sì: quel vago, poco gradevole allure AOR del decennio successivo, Toto o giù di lì, che aleggia sulle roboanti tastiere di Maurizio Guerini e sull’assolo di sax di Antonio Marangolo), reso con distacco professionale e totale padronanza delle proprie fonti.

La difficoltà nel parlare di questo tipo di dischi è la stessa che si potrebbe incontrare circoscrivendo il discorso su produzioni brutal death metal, splittercore, classiche contemporanee o minimalistiche, per citarne alcune: chi già conosce sa a memoria, chi non conosce difficilmente potrà appassionarsi ad un soliloquio che acquista senso e significato solo come tassello dell’alveo principale, come piccolo ramo dell’imponente tronco Goblin (quelli originari, stavolta). Al di fuori di sterili disquisizioni tecniche, di sanguigni inquadramenti monografici, “Four Of A Kind” rimane un oggetto completamente fuori dal suo tempo, inadeguato. “Mousse Roll” declina per la X-volta quel carillon misterico-non misterico che da sempre è marchio di fabbrica indiscusso, sposandolo a chitarre stadio rock tutta pompa e nessuna incisività. “In The Name Of Goblin” riassesta la narrazione su di un tragitto gilmouriano, riuscendo al più a fornire qualche spunto rabberciato per il prossimo disco dei Crippled Black Phoenix (copione identico per “Love & Hate”, annegata in un caramello new romantic: le schizofrenie iniziali promettevano ben altro, peccato). Non basta l’allure gotica della seconda metà di “Dark Blue(s)” per elevare la cifra di un comunissimo saggio chitarristico su pentatonica: e solo appena più interessanti sono i filler funk di una “008” che, a livello melodico, sembra rifarsi a meno stereotipi.

Abbiamo fatto girare sul piatto “Four Of A Kind” numerose volte, come da prassi, per correttezza verso scrittori ed esecutori dei brani: basterebbe in realtà un solo ascolto per comprenderne la totalità. I Goblin hanno mantenuto in dote un grandissimo bassista, Fabio Pignatelli: tutto il resto è ampiamente accessorio.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.