I Giganti
Terra in bocca
Questa è una storia italiana. Una storia di mafia e di rock. Una storia di censura e stupidità. E' la storia di un ragazzo di sedici anni che si ribella alla mafia e alla “privatizzazione” dell'acqua. E' la storia di una rock band all'apice del successo, che decide di giocarsi la carriera in un impresa folle: un disco a tema sulla mafia. Una storia che potrebbe essere stata scritta oggi, e invece è di 40 anni fa.
Il tema, quello dell'intreccio tra la lotta alla mafia e la privatizzazione dell'acqua, o il suo monopolio, è quanto mai attuale, così come la censura sempre più strisciante nel mondo della cultura. I Giganti, nel 1970, sono davvero una delle band più famose in Italia, e quando decidono di buttarsi nell'impresa di “Terra in bocca”, forse non si rendono neanche conto di quello a cui stanno andando incontro.
Ma l'idea di questo lavoro riesce a coagulare intorno ai Giganti il meglio della scena musicale di avanguardia del tempo: da Ares Tavolazzi a Vince Tempera, da Ellade Bandini a quel Gianni Sassi dalla cui mente da li a poco nasceranno la Cramps e gli Area, uno dei personaggi in assoluto più importanti per la storia del rock italiano.
Il disco si apre con un ouverture strumentale, tipico dell'epoca, ma già del secondo brano si sentono influenze che derivano dalla canzone d'autore (è innegabile la presenza di De Andrè tra le fonti di ispirazione del disco): è il brano centrale del disco, il racconto di un uccisione per mano mafiosa: lungo e disteso ti hanno trovato / con quattro colpi piantati nel petto. L'uccisione del ragazzo che ribellandosi alla mafia si illudeva di poter scavare un pozzo per avere l'acqua senza pagare il pizzo.
Da lì parte il racconto, tra ballate acustiche e chitarre elettriche, voci arrabbiate e accordi di piano, accenni di prog, canzone francese e sprazzi di avanguardia.
L'apice arriva con la vendetta del padre del ragazzo, lo scontro con la mafia, e l'uccisione del mafioso che gli aveva ucciso il figlio, in un momento epico, un brano che a tratti potrebbe ricordare i momenti migliori di Jesus Christ Superstar, con un grande arrangiamento, la musica in crescendo, fino al grido di dolore del padre per il figlio ucciso.
Toni soul blues per il brano finale, la presa di coscienza civica contro la mafia, che però porta a farsi giustizia da se. E scavando per la tumulazione del figlio, dalla terra esce l'acqua: la vita che vince contro la morte. Chiusura con il tema centrale dell'opera, che riassume tutto il racconto.
Sono evidenti i motivi per cui nel 1971, in un epoca in cui la parola mafia in TV non poteva essere pronunciata, il disco fu boicottato al punto di sparire dal commercio e rimanere così sepolto per 40 anni. Fino a quando Brunetto Salvarani (teologo e giornalista) e Odo Semellini (scrittore) decidono di raccontare questa storia nel libro “Terra in bocca – Quando i Giganti sfidarono la mafia”, raccogliendo testimonianze di chi c'era e interviste agli autori, ed allegando al libro il cd nella sua versione ufficiale, portando così alla luce questo vero e proprio capolavoro del rock italiano.
In più, nel libro troviamo un esauriente elenco di concept album italiani, un elenco di canzoni sul tema della mafia, una prefazione di Don Luigi Ciotti, e l'analisi dei fatti più importanti dell'epoca, per contestualizzare il disco.
Per chi come me è cresciuto a Rolling Stones, blues e punk è dura ammetterlo, ma nel progressive italiano c'erano davvero delle cose pregevoli, e questo disco, che fotografa in maniera precisa il passaggio dal beat al progressive, ne è la dimostrazione lampante. Probabilmente, uno dei dischi più importanti di tutta la storia del rock italiano.
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