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R Recensione

9/10

King Crimson

Islands

I King Crimson appartengono all'epica rock, sorta di periodo aureo musicale, glorioso e trionfante. Se prendiamo per buona la definizione che Kierkegaard diede di “classico”, ovvero l'incontro sublime e reciproco tra forma e materia, il perfetto connubio tra idea e realizzazione attraverso cui si raggiunge il massimo della perfezione, allora i King Crimson sono a buon diritto un classico del rock. Lo sono per diversi motivi: In primis perchè la stagione musicale che li vede protagonisti è, nel bene e nel male, irripetibile. Lungi dall'essere espressione individuale e moto interiore e intimista (quello che diventerà più tardi, a partire dai postumi della sbronza punk), la musica di quegli anni era, nella maggior parte dei casi e con le dovute eccezioni, quanto di più sociale e aperto sia mai stato realizzato. Vere e proprie superproduzioni, movimenti culturali di massa, velleità intellettuali a volte fin troppo ambiziose.

Vi era la sensazione che la musica potesse realmente cambiare il mondo, utopia che ben presto venne accantonata perchè gli ideali non riuscirono mai ad avere la meglio sul business, sulle tensioni interne dei gruppi più blasonati, sulla sindrome di onnipotenza da star. Simbolo del crollo di questo periodo celeste e incantato è quel “Lifehouse”, opera di Townshend di smisurata portata, che non venne mai portata a compimento per diversi motivi, per la maggior parte legati proprio ai problemi sopra citati. In questo fiorente contesto, i King Crimson crearono nel corso degli anni una vera e propria fucina sonora, un'industria operosa di geometrie armoniche dal valore inestimabile che ebbe enorme influenza sulle generazioni successive. L'approccio del Re Cremisi alla musica è di natura quasi matematica, fondato su una meticolosità quasi ossessiva e sulla ricerca costante del massimo rigore. Accanto a questo però si pone la continua ricerca e sperimentazione di nuove strutture musicali ma soprattutto di nuovi suoni.

Anima di questa sintesi tra geometria e fantasia è Robert Fripp, tra i più grandi chitarristi di ogni era per influenza ed eclettismo. Fripp è strumentista atipico e si pone in parallelo a tutta la saga delle chitarre leggendarie (da Hendrix a Clapton) per la sua concezione singolare dello strumento. Da Robert Johnson in poi, l'approccio alla chitarra è sempre stato primitivo, espressione di stati d'animo, emotività e passione di natura selvaggia, detto in una parola blues. L'approccio di Robert Fripp è invece razionale, freddo, calcolato. La costruzione del suono avviene attraverso diverse fasi, non sgorga direttamente dalle viscere umane. Poichè Fripp è lo spirito dei King Crimson, il gruppo risente notevolmente di questo approccio matematico-sperimentale. I King Crimson prendono il pop neoclassico dei Procol Harum e dei Moody Blues e lo ribaltano completamente: le tracce acquisiscono consistenza, diventano minisinfonie dalle trame complesse. I King Crimson spaziano tra più generi, creando un pentolone magico che mescola free jazz e pop, psichedelia e musica barocca. Partiti dal romanticismo epico e sinfonico di “In The Court Of The Crimson King”, inventano la psichedelia barocca in “Islands” e finiscono per elaborare una specie di rock spigoloso dalle sferzate metal e dai contorni jazzati (che richiama notevolmente quello che nella prima metà degli '80 verrà definito math rock) in “Lark's Tongue In Aspic” e “Red”.  

Islands” è album psichedelico solo in superficie. In realtà è un ponte teso tra le sponde della prolifica carriera del Re Cremisi, una sorta di cantiere aperto indeciso tra più direzioni: vi appaiono i mirabolanti gigioneggi di tecnica sopraffina, il pop straniato Beatlemaniaco, le prime scatarrate di chitarra ermetica. Passato, presente e futuro dei King Crimson. Ma la firma inconfutabile che marchia a fondo ogni loro album è quella magia intensa che si respira in ogni loro album. Tutto ciò dovuto alla costruzione ineccepibile dei pezzi, alla ricerca maniacale del sound perfetto, alla bravura colossale dei suoi interpreti, allo studio programmatico di un vero e proprio progetto musicale-visivo a tutto tondo. Un album dei King Crimson non è solo un album, è un'esperienza totalizzante e multisensoriale. Islands” è maniera psichedelica costruita ad arte: se “Sgt. Pepper” era vaudeville psichedelico, “Islands” è barocchismo psichedelico. Eppure conserva fascino trasognante e lascia una sorta di scia dorata alla fine del suo ascolto, come un olezzo onirico e decadente, una sorta di serena tristezza velata, una stasi mistica intensa. Sono sentieri di musica incontaminata, spazi aperti, proprio isole orbitanti nell'oscurità universale. "Islands” è idealmente divisibile in due parti distanti tra loro, per certi versi opposte: “Formentera Lady”, “Sailor's Tale” e “The Letters” costituiscono un trio di pezzi anomali per gli standard Crimsoniani di allora: sperimentazioni ardite condite talvolta da riff energici di chitarra, talvolta da improvvisazioni sghembe di sax, anche laddove permane l'inconfondibile melodia toccante alla KC. “Prelude: Song For The Gulls” e “Islands” invece ritrovano la classicità e l'intensità passionale dei primi KC anche se in una forma più minimale. Esattamente in mezzo si trova “Ladies Of The Road” con il suo pop sghembo, eccentrico joke che si chiama fuori dal discorso intrapreso dall'album per salutare in maniera scherzosa e ironica la saga Beatlesiana.  

Formentera Lady” si sviluppa sulle fondamenta solide di una viola elettrica spaziale, aggiungendo artefici di piano e flauti in pieno stile barocco alla voce. Quindi il basso pulsante introduce il tema fondamentale del primo movimento di “Islands”. “Formentera Lady” è una galassia a spirale, momento statico, leggero movimento orbitante appena abbozzato. Intro in punta di piedi, cala le nostre membra nell'atmosfera placido-cosmica che lentamente avvolgerà noi stessi come un lenzuolo. L'estrema sintesi tra tematiche da space rock e certa deriva manierista raffinata. Eppure il respiro è inequivocabilmente intensissimo. Lunghissimo finale dal sapore mistico, sorta di ponte di congiunzione tra l'inconsistenza rasserenante di “Formentera Lady” e l'irrequietezza instabile di “Sailor's Tale”. In perfetta soluzione di continuità spazio-temporale, “Sailor's Tale” si trascina via dal gorgo di “Formentera Lady”, con un crescendo indiavolato introdotto dai rintocchi di ride di Wallace, culminante nell'assolo catarro-delay da antologia di Fripp, terminante nella quiete inquieta statica del finale. “Sailor's Tale” è un tunnel iperspaziale dalla struttura affascinante che apre sfondi di natura sempre diversa man mano che prosegue nel suo cammino (una specie di viaggio spazio-temporale come nel finale di “2001: A Space Odyssey” ma in versione sarcastica, post-hippy e post-acid), mutando la sua pelle da caotiche free-form di fiati minimal a sezioni orchestrali ingombranti guidate dal mellotron. Citazione doverosa all'apporto magistrale di Wallace, carburante irrinunciabile di tutta la cavalcata. “The Letters” stupisce ancora per la sua varietà musicale: L'intro è affidato ad un minuetto abbozzato di gusto romantico che richiama i primi King Crimson di “I Talk To The Wind”, poi una fiammata violenta, un'esplosione furiosa guidata dal sax di Collins, quindi il crescendo che ritrova sentieri free jazz attraverso una jam furibonda che dura il tempo di accorgersene.

The Letters” è una spirale che si avvolge intorno a nostri padiglioni auricolari: il finale è una reprise del minuetto iniziale immerso in acque più pompose salvo poi decrescere lentamente verso la fine del pezzo. Sorta di legame fragile tra i due estremi dell'album, tra i due noccioli portanti del disco compare allora, come per riprendere fiato, il pezzo più accessibile di “Islands”: “Ladies Of The Road” si divide tra il disco-funk che farà scuola ai Pink Floyd di “Money” e “Time” e il doo-wop più melenso dei Beatles, inserendo ritagli spigolosi alla KC, sprazzi di sax e distorsioni. Il tutto sempre delineato con il massimo rigore e la massima espressione tecnica possibile, oltre alla cura maniacale dei dettagli nelle tempistiche e nei timbri, nonchè un pizzico di ironia. Sorta di preludio alla mini-sinfonia titletrack è “Prelude: Song For The Gulls”, capolavoro del classicismo estremo dei KC. Melodia intensa e delicatissima per archi e oboe che potrebbe gareggiare per gusto compositivo con i grandi capolavori del barocco musicale. Tra contrappunti deliziosi e trilli luminosi, “Prelude: Songs For The Gulls” spalanca letteralmente le porte all'ascolto della titletrack, una sorta di scalinata verso il paradiso. “Islands” è la vera consacrazione dell'album, il vero perno a cui ruota tutto l'impianto, il pezzo che raccoglie i semi nascosti tra le pieghe dei precedenti pezzi e li riunisce in una sorta di “Grand-Finale”.

Islands” è l'umore generale dell'album, diviso tra una sorta di dolce estasi spaziale ed una lenta malinconia appena appena velata. Il canto in stile opera dotato di una melodia notevolissima sembra lontano anni-luce, inarrivabile. Si scioglie morbidamente in un finale infinito, un vero viaggio transoceanico spinto da onde di mellotron e luci brevi di sax, un incanto musicale che ci culla verso derive salvifiche e immaginifiche. Il sunto, o meglio la fusione più plausibile del romanticismo drammatico e “sublime" (nell' accezione Kantiana) dei primi KC e i primi segni di una musica meno emotiva, più legata allo studio timbrico dei suoni.  

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Voto degli utenti: 8,3/10 in media su 53 voti.

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Uallarotto (ha votato 6 questo disco) alle 13:51 del 22 settembre 2009 ha scritto:

Fino a Red, questo è il loro peggiore... diciamo il meno bello. A tratti di una noia, ma di una noia. Comunque, gruppo che adoro, ma per decisamente altre cose.

-Illy- (ha votato 5 questo disco) alle 18:44 del 22 settembre 2009 ha scritto:

non riesco a digerirlo, è il loro disco più ostico...

FrancescoB (ha votato 10 questo disco) alle 20:33 del 25 settembre 2009 ha scritto:

A mio avviso è un capolavoro spaventoso, forse persino superiore all'esordio. O comunque se la gioca. "Formentera Lady" è un pezzo unico, cullante, un walzer elegantissimo arricchito da una melodia che non vuole saperne di farsi dimenticare.

Bella recensione, collettivo.

Franco (ha votato 9 questo disco) alle 11:42 del 26 settembre 2009 ha scritto:

Anche secondo me questo disco rappresenta uno degli apici della carriera crimsoniana, sicuramente superiore al precedente Lizard, chiude al meglio la loro prima fase "classica", il toccante solo di tromba nel citato "Grand-Finale" dell'opera sul brano omonimo si dilegua e sfuma senza lasciare alcun indizio sulla prossima evoluzione o rivoluzione della band: ma "Lark's tongue in aspic" e Bill Bruford sono alle porte.

Uallarotto (ha votato 6 questo disco) alle 16:39 del 26 settembre 2009 ha scritto:

Io gli preferisco pure Lizard che ha un lato A bellissimo e un lato B tediosamente Regressive, con quella "Bolero" che proprio, oh, non se ne scende. Questo a me pare tutto Regressive, dall'inizio alla fine, con mezza idea dilatata per tutto l'album. Ovviamente opinione stra-personale, però gli preferisco qualsiasi altra cosa dei King Crimson.

luca.r (ha votato 9 questo disco) alle 14:59 del 29 settembre 2009 ha scritto:

Altro giro, altro disco eccezionale del Re Cremisi. il mio preferito, assieme a Sartless and bible black e all'imprescindibile disco d'esordio (in realtà dipende molto dall'umore del momento, non riesco davvero a scegliere in merito.. uno diverso dall'altro, ma ognuno a suo modo splendido), con Red solo una spanna più sotto. La title track resta, a mio modesto avviso, una delle composizioni più belle mai partorite a memoria d'uomo (e con Starless e 21st schizoid man fanno tre..)

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 13:33 del 22 ottobre 2009 ha scritto:

Una raffinatissima ed elegante commistione fra stilemi musicali in chiave 'moderna' e sonorità classicheggianti; meravigliosamente barocco, romantico, melodico e sognante... ma preferisco ad ogni modo, l'incantevole ''In the Court of the Crimson King'', quindi: 8.5

Foxtrot (ha votato 10 questo disco) alle 11:27 del 25 gennaio 2010 ha scritto:

Al Re Cremisi sempre il massimo dei voti. Innovativi, avanti anni luce, hanno oltrepassato il prog per arrivare a qualcosa d'altro, qualcosa di indefinibile. Island, secondo me, è uno dei loro capolavori insieme all'esordio e Red.

bart (ha votato 7 questo disco) alle 12:13 del 15 aprile 2010 ha scritto:

Misterioso

Disco enigmatico, difficile da catalogare. A modo suo affascinante.

Filippo Maradei (ha votato 10 questo disco) alle 16:36 del 25 aprile 2010 ha scritto:

Sembrerei troppo americano se dicessi: "Uno dei migliori dischi della storia della musica"?

Mettete da parte gli -est e gli -"evah".

E' davvero cosi importante.

bart (ha votato 7 questo disco) alle 16:44 del 5 agosto 2010 ha scritto:

Devo aumentare il voto. Questo disco merita almeno stelle.

bart (ha votato 7 questo disco) alle 16:45 del 5 agosto 2010 ha scritto:

4 stelle

claudio56 (ha votato 7 questo disco) alle 18:23 del 7 settembre 2010 ha scritto:

Personalmente credo che i Crimson della prima era ( quelli cioè prima dell'arrivo di Bruford e Wetton) siano andati progressivamente calando dal primo al quarto album. Il quinto, Earthbound, dal vivo, registrato male e suonato peggio, non è neanche classificabile.

dalvans (ha votato 6 questo disco) alle 14:58 del 23 settembre 2011 ha scritto:

tedioso

Mai piaciuto molto

alekk (ha votato 6,5 questo disco) alle 19:45 del 30 ottobre 2012 ha scritto:

buon disco ,ma rispetto ai primi KC siamo almeno tre spanne sotto...

nebraska82 (ha votato 8 questo disco) alle 13:36 del 31 ottobre 2012 ha scritto:

tre spanne sotto???esagerato!

Ekphrasys alle 0:01 del 11 aprile 2013 ha scritto:

Questo è il primo disco della nuova fase dei Crimson (anche se in regia non c'erano ancora Wetton e Brfuford insieme al buon Robertino), e come tale va giudicato...A me piace da pazzi, come mi piace da pazzi Lizard, il primo e Red...

Mentre il Poseidone, la bibbia nera e la Lingua gelatinosa non li reggo molto...

Utente non più registrato alle 12:17 del 11 aprile 2013 ha scritto:

Uno dei tanti grandissimi dischi dei KC

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 9:09 del 17 marzo 2015 ha scritto:

Su King Crimson sono assolutamente di parte essendo lamia band preferita....

...non voglio entrare nel merito tecnico-musicale ne paragonare "Islands" ad altri lavori di KC (come diceva qualcuno è impossibile paragonare lavori così diversi tra loro) voglio solo dire che a mio avviso "Islands" è tra i capolavori di KC e,ad ogni modo, se dovessi scegliere un solo loro album dovrei scegliere col cuore ed il cuore non potrebbe farmi scegliere altri che "Islands" !!!

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 10:48 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Ragazzi, proprio ieri mi è finalmente arrivato "Islands - 40th Anniversry Series" CD+DVD.

Possedevo gia il vinile, la cassetta audio, il cd originale eg004 di fine anni '80, la 30th anniversary .......

...ma questa è davvero l'edizione definitiva !!

Il lavoro di Steven Wilson è perfetto (ed ovviamente in perfetta sintonia coi dettami frippiani), restituisce al lavoro la bellezza che avrebbe dovuto avere in origine ma che non ha mai avuto un pò per la scarsità di mezzi tecnici del 1971 ed un pò per l'inadeguatezza dei Command Studios (gli studi dove Islands fu registrato).

Oltre al lavorone di Wilson ci sono tanti altri motivi per comprare questa edizione,sopratutto per i Crimhead: inediti, live restaurati, una versione alternativa dell'intero album (un po come è stato fatto per "In the Court... 40th Ann.Ser.")...

...tanta tanta bella roba ragazzi !!

Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 11:50 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Per curiosità: quanto lo hai pagato? La versione singola la svendono a 6.90...

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 11:58 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Scusa...che intendi per singola ? Parli della 40th anniversary? Perchè mi risulta che questa edizione non esiste in "singolo" ma come cofanetto CD+DVD (che io ho pagato 23 euro).

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 11:59 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Il "singolo" è forse la 30th Anniversary...

Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 12:16 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Sì, intendevo quella del trentennale. Non amo molto le "deluxe", perchè le bonus tolgono un po' del valore storico del disco (il vinile in questo caso), ma se la resa audio è stata migliorata, da Wilson poi, direi che possa farci più di un pensierino. Sull'amazon britannico costa 11 sterline circa.

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 12:38 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Guarda in realtànon è la classica "deluxe".E' molto di più. In primo luogo per il lavoro fatto da Wilson sull'audio (davvero splendido) che rende questa la versione definitiva (anche Fripp ha ammesso che è molto improbabile che questa edizione possa essere superata) e poi per il bellissimo materiale che lo completa. Tra l'altro tieni presente che nel cofanetto "40th" trovi anche le tracce di Islands nella versione "30th" oltre che il remix di Wilson, il master originale e la versione alterativa dell'intero album.

Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 13:46 del 25 marzo 2015 ha scritto:

ok, grazie! Ma Wilson è intervenuto anche su altri dischi dei Crimson, che tu sappia?

pinKCrimson (ha votato 10 questo disco) alle 17:26 del 27 marzo 2015 ha scritto:

Si Paolo, l'intera serie "40th Anniversary" è remixata da Steven Wilson. Ha fatto un grande lavoro su tutti gli album (al momentoio ho comprato solo la 40th di In the court,Islands, Discipline e Larks' tongue in aspic... tutti splendidi).

internalvoid (ha votato 9,5 questo disco) alle 14:47 del 21 dicembre 2016 ha scritto:

Molto sottovalutato, fin troppo

internalvoid (ha votato 9,5 questo disco) alle 14:48 del 21 dicembre 2016 ha scritto:

Molto sottovalutato, fin troppo

internalvoid (ha votato 9,5 questo disco) alle 14:48 del 21 dicembre 2016 ha scritto:

Molto sottovalutato, fin troppo

JonnyBarbun87 (ha votato 7,5 questo disco) alle 0:42 del 14 settembre 2019 ha scritto:

Un poco inferiore al terzetto "In The Court Of The Crimson King", "Red" e "In The Wake Of Poseidon", ma di sicuro di pregevole fattura, soprattutto per la presenza di pezzi come "Sailor's Tale" e la particolarissima title-track finale che valgono da soli tutto l'album.