King Crimson
Islands
I King Crimson appartengono all'epica rock, sorta di periodo aureo musicale, glorioso e trionfante. Se prendiamo per buona la definizione che Kierkegaard diede di classico, ovvero l'incontro sublime e reciproco tra forma e materia, il perfetto connubio tra idea e realizzazione attraverso cui si raggiunge il massimo della perfezione, allora i King Crimson sono a buon diritto un classico del rock. Lo sono per diversi motivi: In primis perchè la stagione musicale che li vede protagonisti è, nel bene e nel male, irripetibile. Lungi dall'essere espressione individuale e moto interiore e intimista (quello che diventerà più tardi, a partire dai postumi della sbronza punk), la musica di quegli anni era, nella maggior parte dei casi e con le dovute eccezioni, quanto di più sociale e aperto sia mai stato realizzato. Vere e proprie superproduzioni, movimenti culturali di massa, velleità intellettuali a volte fin troppo ambiziose.
Vi era la sensazione che la musica potesse realmente cambiare il mondo, utopia che ben presto venne accantonata perchè gli ideali non riuscirono mai ad avere la meglio sul business, sulle tensioni interne dei gruppi più blasonati, sulla sindrome di onnipotenza da star. Simbolo del crollo di questo periodo celeste e incantato è quel Lifehouse, opera di Townshend di smisurata portata, che non venne mai portata a compimento per diversi motivi, per la maggior parte legati proprio ai problemi sopra citati. In questo fiorente contesto, i King Crimson crearono nel corso degli anni una vera e propria fucina sonora, un'industria operosa di geometrie armoniche dal valore inestimabile che ebbe enorme influenza sulle generazioni successive. L'approccio del Re Cremisi alla musica è di natura quasi matematica, fondato su una meticolosità quasi ossessiva e sulla ricerca costante del massimo rigore. Accanto a questo però si pone la continua ricerca e sperimentazione di nuove strutture musicali ma soprattutto di nuovi suoni.
Anima di questa sintesi tra geometria e fantasia è Robert Fripp, tra i più grandi chitarristi di ogni era per influenza ed eclettismo. Fripp è strumentista atipico e si pone in parallelo a tutta la saga delle chitarre leggendarie (da Hendrix a Clapton) per la sua concezione singolare dello strumento. Da Robert Johnson in poi, l'approccio alla chitarra è sempre stato primitivo, espressione di stati d'animo, emotività e passione di natura selvaggia, detto in una parola blues. L'approccio di Robert Fripp è invece razionale, freddo, calcolato. La costruzione del suono avviene attraverso diverse fasi, non sgorga direttamente dalle viscere umane. Poichè Fripp è lo spirito dei King Crimson, il gruppo risente notevolmente di questo approccio matematico-sperimentale. I King Crimson prendono il pop neoclassico dei Procol Harum e dei Moody Blues e lo ribaltano completamente: le tracce acquisiscono consistenza, diventano minisinfonie dalle trame complesse. I King Crimson spaziano tra più generi, creando un pentolone magico che mescola free jazz e pop, psichedelia e musica barocca. Partiti dal romanticismo epico e sinfonico di In The Court Of The Crimson King, inventano la psichedelia barocca in Islands e finiscono per elaborare una specie di rock spigoloso dalle sferzate metal e dai contorni jazzati (che richiama notevolmente quello che nella prima metà degli '80 verrà definito math rock) in Lark's Tongue In Aspic e Red.
Islands è album psichedelico solo in superficie. In realtà è un ponte teso tra le sponde della prolifica carriera del Re Cremisi, una sorta di cantiere aperto indeciso tra più direzioni: vi appaiono i mirabolanti gigioneggi di tecnica sopraffina, il pop straniato Beatlemaniaco, le prime scatarrate di chitarra ermetica. Passato, presente e futuro dei King Crimson. Ma la firma inconfutabile che marchia a fondo ogni loro album è quella magia intensa che si respira in ogni loro album. Tutto ciò dovuto alla costruzione ineccepibile dei pezzi, alla ricerca maniacale del sound perfetto, alla bravura colossale dei suoi interpreti, allo studio programmatico di un vero e proprio progetto musicale-visivo a tutto tondo. Un album dei King Crimson non è solo un album, è un'esperienza totalizzante e multisensoriale. Islands è maniera psichedelica costruita ad arte: se Sgt. Pepper era vaudeville psichedelico, Islands è barocchismo psichedelico. Eppure conserva fascino trasognante e lascia una sorta di scia dorata alla fine del suo ascolto, come un olezzo onirico e decadente, una sorta di serena tristezza velata, una stasi mistica intensa. Sono sentieri di musica incontaminata, spazi aperti, proprio isole orbitanti nell'oscurità universale. "Islands è idealmente divisibile in due parti distanti tra loro, per certi versi opposte: Formentera Lady, Sailor's Tale e The Letters costituiscono un trio di pezzi anomali per gli standard Crimsoniani di allora: sperimentazioni ardite condite talvolta da riff energici di chitarra, talvolta da improvvisazioni sghembe di sax, anche laddove permane l'inconfondibile melodia toccante alla KC. Prelude: Song For The Gulls e Islands invece ritrovano la classicità e l'intensità passionale dei primi KC anche se in una forma più minimale. Esattamente in mezzo si trova Ladies Of The Road con il suo pop sghembo, eccentrico joke che si chiama fuori dal discorso intrapreso dall'album per salutare in maniera scherzosa e ironica la saga Beatlesiana.
Formentera Lady si sviluppa sulle fondamenta solide di una viola elettrica spaziale, aggiungendo artefici di piano e flauti in pieno stile barocco alla voce. Quindi il basso pulsante introduce il tema fondamentale del primo movimento di Islands. Formentera Lady è una galassia a spirale, momento statico, leggero movimento orbitante appena abbozzato. Intro in punta di piedi, cala le nostre membra nell'atmosfera placido-cosmica che lentamente avvolgerà noi stessi come un lenzuolo. L'estrema sintesi tra tematiche da space rock e certa deriva manierista raffinata. Eppure il respiro è inequivocabilmente intensissimo. Lunghissimo finale dal sapore mistico, sorta di ponte di congiunzione tra l'inconsistenza rasserenante di Formentera Lady e l'irrequietezza instabile di Sailor's Tale. In perfetta soluzione di continuità spazio-temporale, Sailor's Tale si trascina via dal gorgo di Formentera Lady, con un crescendo indiavolato introdotto dai rintocchi di ride di Wallace, culminante nell'assolo catarro-delay da antologia di Fripp, terminante nella quiete inquieta statica del finale. Sailor's Tale è un tunnel iperspaziale dalla struttura affascinante che apre sfondi di natura sempre diversa man mano che prosegue nel suo cammino (una specie di viaggio spazio-temporale come nel finale di 2001: A Space Odyssey ma in versione sarcastica, post-hippy e post-acid), mutando la sua pelle da caotiche free-form di fiati minimal a sezioni orchestrali ingombranti guidate dal mellotron. Citazione doverosa all'apporto magistrale di Wallace, carburante irrinunciabile di tutta la cavalcata. The Letters stupisce ancora per la sua varietà musicale: L'intro è affidato ad un minuetto abbozzato di gusto romantico che richiama i primi King Crimson di I Talk To The Wind, poi una fiammata violenta, un'esplosione furiosa guidata dal sax di Collins, quindi il crescendo che ritrova sentieri free jazz attraverso una jam furibonda che dura il tempo di accorgersene.
The Letters è una spirale che si avvolge intorno a nostri padiglioni auricolari: il finale è una reprise del minuetto iniziale immerso in acque più pompose salvo poi decrescere lentamente verso la fine del pezzo. Sorta di legame fragile tra i due estremi dell'album, tra i due noccioli portanti del disco compare allora, come per riprendere fiato, il pezzo più accessibile di Islands: Ladies Of The Road si divide tra il disco-funk che farà scuola ai Pink Floyd di Money e Time e il doo-wop più melenso dei Beatles, inserendo ritagli spigolosi alla KC, sprazzi di sax e distorsioni. Il tutto sempre delineato con il massimo rigore e la massima espressione tecnica possibile, oltre alla cura maniacale dei dettagli nelle tempistiche e nei timbri, nonchè un pizzico di ironia. Sorta di preludio alla mini-sinfonia titletrack è Prelude: Song For The Gulls, capolavoro del classicismo estremo dei KC. Melodia intensa e delicatissima per archi e oboe che potrebbe gareggiare per gusto compositivo con i grandi capolavori del barocco musicale. Tra contrappunti deliziosi e trilli luminosi, Prelude: Songs For The Gulls spalanca letteralmente le porte all'ascolto della titletrack, una sorta di scalinata verso il paradiso. Islands è la vera consacrazione dell'album, il vero perno a cui ruota tutto l'impianto, il pezzo che raccoglie i semi nascosti tra le pieghe dei precedenti pezzi e li riunisce in una sorta di Grand-Finale.
Islands è l'umore generale dell'album, diviso tra una sorta di dolce estasi spaziale ed una lenta malinconia appena appena velata. Il canto in stile opera dotato di una melodia notevolissima sembra lontano anni-luce, inarrivabile. Si scioglie morbidamente in un finale infinito, un vero viaggio transoceanico spinto da onde di mellotron e luci brevi di sax, un incanto musicale che ci culla verso derive salvifiche e immaginifiche. Il sunto, o meglio la fusione più plausibile del romanticismo drammatico e sublime" (nell' accezione Kantiana) dei primi KC e i primi segni di una musica meno emotiva, più legata allo studio timbrico dei suoni.
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