R Recensione

7/10

Nichelodeon

Cinemanemico

“L’altra notte mi è apparso in sogno il mio nome.”

“Cinemanemico”. Negazioneaffermazione dello sguardo sulla materia, occhio clinico che si nutre di trasparenze. “Fame di pietra, fame di fuoco”. Decadentismo marcio, crudele disincanto. “Pierrot Lunaire” resettato, riprogrammato per orecchieocchi del nostro tempo, espressionismo prog raggrumato in purulente infezioni cameristiche (“Malamore E La Luna”). Non c’è chiave interpretativa che non sia quella dell’immanenza dell’immaginesuono, del teatro. Simbolismo degenere. Lo Scott Walker di “Tilt” impresso a striature gelide sulla carne (“Ciò Che Rimane”). Kitsch e tragedia fusi nel disperatovanesio furore della musica.

Un po’ di concretezza ora, che mi par d’essere Ghezzi. I Nichelodeon si formano nel 2007, ma i brani qui proposti coprono un arco di tempo assai più lungo, essendo stati eseguiti durante concerti, installazioni e balletti tenuti in giro per l’Europa negli ultimi dieci anni. Anche “Cinemanemico” è un live, per la precisione registrato durante la performance "La stanza suona ciò che non vedo", suggestivo spettacolo arricchito dalle installazioni video del regista Marco Rossi (ospite all'ultima Biennale di Venezia), da scenografie ricercate, e – non gusta mai – da brindisi a base d’assenzio (figata…); eppure dalla qualità audio e dalla cura con cui sono trattati i suoni si direbbe frutto di un certosino lavoro in studio.

Gli ingredienti dell’opera? Una voce (il deus ex machina Claudio Milano) giocata fra il lirismo di un bel canto impostato e derive avant che, semplicisticamente, potremmo ricondurre a Demetrio Stratos; un pianoforte (Maurizio Fasoli) saldamente ancorato all’espressionismo “schonberghiano” o al Boulez delle “Structures”; chitarra elettrica (Francesco Zago) che s’irradia di neon “frippiani” (ma perché non “frippeschi” o “frippoli”?), e un synth (Riccardo Di Paola, musicista jazz già collaboratore di Carla Bozulich) deputato a misurare gli spazi, riflettere luce di candela, assorbire radiazioni vocali per poi riprocessarle e mandarle in loop.

Il risultato, fa piacere dirlo, convince appieno; soprattutto quando le cupearcane genuflessioni degli Art Bears incrociano i sentieri del David Sylvian più meditativo (la stupenda “Flower Of Innocence”) o, al contrario, ci si immerge nel Novecento più “antagonista” di Univers Zero o Art Zoyd (“Disegnando Cattedrali Di Cellule Pt. II”). Ottima anche l’iniziale “Fame”, lava zampillante fra i fuochi fatui del synth e un canto che s’inventa di continuo, incessante mutare pelle per restare identici soltanto a se stessi. Ma il clou del disco resta “La Torre Più Alta”, immaginifico quadretto nu-prog degno del Battiato di “Pollution”, reso ancor più surreale da una lettura tratta da "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi.

Unica (relativa) pecca dell’album: l’eccessiva omogeneità. D’altronde, pur nella vasta gamma di sfumature, quella di “Cinemanemico” resta una dimensione squisitamente autoreferenziale, esclusiva, aristocratica nel suo giostrarsi dannunziana, estranea al corpulento vociare del pop. L’unico consiglio che mi sento di dare ai Nichelodeon è quello di approfondire le atmosfere di “Flower Of Innocence”, magari operando una ulteriore “raffinatura” sui suoni, rendendoli ancor più impalpabili e fragili. Già così comunque la loro proposta è in grado di suscitare più di un sincero entusiasmo. Qualcuno ascolti i Nichelodeon e supporti la loro visione: corre il rischio di rivelarsi una delle più personali che il nostro Bel Paese abbia avuto l’onore di ospitare.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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fgodzilla (ha votato 9 questo disco) alle 12:12 del 9 febbraio 2009 ha scritto:

Per me sarebbe da 5 stelle

Se cambiassero subito nome che mi sembra una roba da clone MTV.

Poi sicuramente ci sara' qualcuno che mi direa che il nome deriva da chissa qualse superfigata straculturale di cui io Rozzo e ingnorante ignoro il significato