R Recensione

7/10

Pennelli Di Vermeer

La Primavera Dei Sordi

Quasi come se la celeberrima “Ragazza col turbante”, opera massima di Jan Vermeer, avesse mutuato la perenne sorpresa immobilizzata sul suo giovane ed effimero profilo non tanto nell’avvertire la presenza del suo pigmalione, bensì per nascondere agli astanti la sospetta presenza, nel suo grembo, di un mandolino. Surreale come ipotesi, vero? Eppure è proprio nel regno del paradosso, nell’antico che si lega al moderno, nel folclore che brucia fra sterpaglie rock che si dipana l’anima di “La Primavera Dei Sordi”, terzo disco dei napoletani Pennelli Di Vermeer.

Scelta accurata del lessico, capacità strumentale superiore alla media, dono di comprimere molte idee nell’angusto spazio dei canonici tre minuti, nonché una spiccata originalità sonora che, già da “Tramedannata” dell’anno scorso, li aveva accomunati ad un Angelo Branduardi d’antan che incontra il prog rock d’autore anni ’70: i Pennelli Di Vermeer, in realtà, sono tutto questo e anche di più. Effettivamente riscontrabile, la loro passione per il demodè che, tuttavia, non si ferma solamente ad una superficiale pennellata (…appunto!), il microcosmo dei quattro partenopei è popolato dal barocco, dal fantastico, dall’eccessivo. Eppure è una sovrabbondanza che scorre leggera, una teatralità tutto fuorché retorica e fine a sé stessa.

Sarà che, forse, le liriche non sono solo cristallizzate in un’ambientazione fiabesca, nitida come le tempere della scuola fiamminga, ma si muovono agevolmente, con un senso satirico davvero pungente, anche negli spinosi temi d’attualità contemporanea (“Manifesto Cm 70 X 100”, sguaiato ed acre blues morriconiano che attacca con “Quando siamo sobbarcati da quintali di immondizia/ quando incombe la violenza e barcolla la giustizia”, stringendo poi il tiro nel ritornello: “E la politica da manifesto/ di chi la sera la fa a tempo perso”). Sarà che, quando devono abbassare il tiro, i Pennelli Di Vermeer non si fanno pregare e, con la bella “Cinque Minuti… Una Notte”, richiamano alla mente il periodo pop delle Orme. Sarà anche che, anche nei frangenti in cui si fa più pressante il raffronto col raffinato menestrello di Cuggiono, ci si ritrova comunque con un pugno di canzoni più che buone, come negli incroci vocali e tastieristici di “Luce” o nelle strigliate vigorose di “L’Urlo (A E. Munch)”. Il disco, per tutti questi motivi, non sembra presentare momenti di fiacca, se escludiamo il cupo caleidoscopio synth-pop, a forte tinte politiche, di “Incuboinuncubo”, troppo ardito e pasticciato.

Attenzione, però: la ricetta può dare davvero dipendenza. Nel buffo swing di “Tre Cadaveri Nel Cassetto”, che apre “La Primavera Dei Sordi”, risentirete in un solo colpo le conte che usavate, nella prima infanzia, per giocare a campana, l’ultimo ventennio di non-sense italiano (“Tre cadaveri nel cassetto ce li ho messi da bambino/ quando facevo il tifo per l’orco ed odiavo Pollicino”), il two-step, il calore della tarantella e contratture elettroniche che si arrotolano fra loro. “Autogestione” è uno spassosissimo encausto folk con cori di bambini che si infilano fra trame ritmiche giocate su tempi dispari. In mezzo, la perla: “Nel Giardino Di Belzebù” è per forma, sviluppo, armonia e ritmo un perfetto modello di sonetto quattrocentesco, affidato alle sole voci, tastiera, chitarre e contrabbasso. Dalla che si unisce alla Premiata Forneria Marconi, De Andrè che lotta contro Il Balletto Di Bronzo. Semplicemente toccante.

I Pennelli Di Vermeer hanno capito qual è la strada da intraprendere, davvero, per mantenere una notevole dignità stilistica e, al contempo, sgravare dal proprio curriculum quelle pesantezze pleonastiche che nulla conferivano in più al loro potenziale. Per qualcuno potrebbero ancora suonare troppo indigesti, altri potrebbero trovare delle difficoltà ad interpretare le loro enfasi. La strada, in ogni caso, è quella giusta, anche se un ulteriore incentivo viene risparmiato in attesa di un seguito. Lancio direttamente l’idea agli artefici: perché non inserire qualche strumentale, al prossimo giro?

Dimenticavo: a Scarlett Johansson piacerebbero di sicuro.

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