R Recensione

4/10

The Earlies

Enemy Chorus

Ce li ricordavamo un po’ diversi, gli Earlies, da quell’ottima raccolta di pezzi che prendeva il nome di These Were The Earlies (2004): piccole gemme di neo psichedelia che riecheggiavano i pastiche psych pop classici di Beatles, Brian Wilson e Pink Floyd e quelli più recenti di Flaming Lips e Mercury Rev: l’indie pop ai suoi massimi livelli, ogni pezzo, ogni dettaglio al posto giusto. Ce li ricordavamo un po’ diversi da come li ritroviamo in questo Enemy Chorus, quasi che quel “These Were” avesse già in sé intenti profetici: e d’altra parte è lo stesso gruppo ad annunciare il nuovo disco come più aggressivo, più maturo.

No Love In Your Heart è psichedelico, ma è una psichedelia mantrica, incubante, attraversata da muraglie di suoni e aggredita da synth e beat elettronici: il pensiero non può fare a meno di andare alla Beta Band (gruppo che, incidentalmente, partì anch’esso con una raccolta di singoli).

I primi indizi di dove ci condurrà questo disco cominciano comunque ad essere disseminati dalla seconda traccia: il gruppo è maturato, è vero, è cresciuto: stufo di restare negli spazi angusti della sua navicella spaziale e di giocare con le formine rassicuranti del pop psichedelico degli inizi ha aperto la porta della navicella e ha cacciato la testa fuori, a raccogliere frammenti galleggianti di kraut rock, progressive e space rock. Oggetti affascinanti, se li sa maneggiare. Armi a doppio taglio se non la si sa impugnare dal verso giusto.

E l’impressione è che in questo caso il gruppo si sia tirato dentro troppa zavorra: l’astronave comincia a traballare pericolosamente, fin da Enemy Chorus, si salva dallo schianto con la classe e col talento, si risolleva un po’ proprio quando decide di posare i piedi a terra in The Ground We Walk On, ma balla e perde quota, minacciosamente. Dove un gruppo come i Field Music riesce con successo a citare i Genesis, rielaborandone con ironia e spirito postmoderno le sonorità, il gruppo texano capitola, portandone l’influenza sulle spalle come una croce, riprendendone gli aspetti più pomposi e magniloquenti, riciclando a caso spunti di classica e jazz, scambiando patacche per gioielli psych e affastellando forsennatamente suoni ed amenità sonore da mercatino intergalattico, sibili, synth kraut e sitar. Altrove l’idea sembra essere quella di ricreare lo space rock degli Spiritualized, finendo però col sembrarne una copia sciupata e sbiadita.

Prima che la navicella si schianti, sarà meglio svuotare la stiva e richiudere il portellone: la prossima volta potrebbe essere troppo tardi.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 1:36 del 8 agosto 2008 ha scritto:

Io lo trovo molto interessante