King Crimson
Red
Il settimo album in studio del Re Cremisi è da molti considerato il loro secondo miglior lascito artistico, subordinato al solo capolavoro desordio In The Court Of The Crimson King, malgrado il fatto che sia stato assemblato quando il leader, il chitarrista e mellotronista Robert Fripp, aveva già deciso di sciogliere la formazione (poi ricostituitasi sette anni più tardi). In effetti non ci fu alcun concerto promozionale a valle della pubblicazione del disco, che anche per questo vendette modestamente.
Daltronde la band era votata da sempre a lavorare in emergenza, a causa delle cicliche defezioni di musicisti al suo interno, spesso frustrati dai continui veti di Fripp alle loro proposte musicali. I rimpiazzi, talvolta assoldati sui due piedi, non sempre si erano rivelati allaltezza (con il nadir rappresentato dal cantante soul blues Gordon Haskell, un pesce fuor dacqua nel terzo album Lizard), ma almeno lo squisitamente geniale e altalmente intransigente chitarrista aveva da un paio danni trovato valida e affidabile sponda nel batterista Bill Bruford, uno come lui: iper-razionale, ultra-organizzato, scientemente pignolo.
E naturalmente grande musicista quanto lui: anche in questo lavoro il talento del riccioluto ex-Yes rifulge, cospargendolo generosamente con le specialità della casa come i colpi secchi sul bordo del rullante, le rullate in levare, gli accenti di cassa sparpagliati dove meno li si aspetta, insomma quella voglia molto jazz di non appoggiare mai il ritmo, tenendolo sempre in divenire.
Sulla copertina i due egregi strumentisti sono effigiati in trio col bassista e cantante John Wetton, ma nel disco evoluiscono anche altri artisti: nello specifico, vi è lultimo lascito del defezionario violinista David Cross, protagonista nei due precedenti lavori, nonché gli importanti contributi di due sassofonisti, ora ospiti ma in passato vicendevolmente membri effettivi, vale a dire Ian McDonald (uno dei fondatori del gruppo a ben vedere fra laltro anche al flauto, pur se non accreditato) e Mel Collins. Riappare anche la cornetta del jazzista Marc Charig, già sentita sul terzo e quarto album di tre anni prima, ed infine pure un oboe, nelle mani di certo Robin Miller.
Wetton, assoldato da Fripp insieme a Bruford un paio danni prima in occasione del quinto album, è un buon surrogato di quel Greg Lake che aveva lasciato i Crimson quasi subito per andare a far fortuna e musica assai più vanagloriosa con Keith Emerson e Carl Palmer: molta meno potenza vocale per John, similarità ma minore squisitezza di timbro, pure meno inventiva al basso rispetto a Lake, ma almeno il tutto senza lantipatica superbia e linfinita boria del suo augusto predecessore. Ciò non impedirà a Wetton di far fortuna anchesso una volta mollato da Fripp, ma dovrà aspettare qualche anno prima di passare (immeritatamente) alla cassa con le canzonette degli Asia.
Lalbum è strutturato in maniera simile al capolavoro desordio, con cinque abbondanti pezzi. La mezza restaurazione, in favore di quel disco e rispetto alle ultime uscite discografiche più spigolose e asciutte, è dovuta al ritorno in auge (per lultima volta) del mellotron e al corposo contributo dei fiati, così legati alla prima fase di carriera del gruppo.
La potente apertura è affidata allo strumentale hard rock che intitola lalbum: sulla scia dei precedenti grandi strumentali di Fripp (Sailors Tale sul quarto lavoro Island e Larks Tongues In Aspic, Part Two sullalbum omonimo) anche questa è da considerarsi una magnificenza ritmico/armonica. La chitarra corrosiva e infuocata (rossa ) del leader, raddoppiata in due tracce proprio alla maniera hard rock (e questa è una novità per i Crimso), lavora su incalzanti progressioni esatoniche di accordi; il fido Bruford sguazza da par suo nelle alternanze di tempo in 4/4, poi 5/8, poi 7/8, Wetton infine riempie ogni residuo buco distorcendo il suo basso e staccando note detonanti. Nessun altro musicista è presente, il gruppo qui lavora in trio, come da copertina ma è lunico episodio in cui ciò succede!
Come nella migliore tradizione della discografia King Crimson, alle scariche rosse del preludio succede nel secondo episodio larmonico arpeggiare dellacustica (imbracciata dallocchialuto Bob per lultima volta in studio col suo gruppo!), sostenuta dal tappeto di mellotron. Fallen Angel srotola così il testo di Richard Palmer James, amico di Wetton e paroliere della band in questa fase di carriera. La ballata procede tranquilla e sembra prendere il ruolo delle storiche I Talk To The Wind o Cadence And Cascade, invece per il ritornello Fripp ha in serbo uno dei suoi super arpeggi iper elettrici sulla Gibson, una inquietante faccenda in 6/8 atta a descrivere compiutamente il dramma narrato dal testo (un ragazzo che cerca e trova guai entrando in una banda di motociclisti), con tanto di oboe e cornetta a incrementare il pathos.
One More Red Nightmare (e riecco il vocabolo Red, a giustificare il titolo dellopera ) è un robusto brano progressivo con varie sezioni che si intercalano e si ripetono. Wetton canta un (suo, per una volta ) testo in un vigoroso 4/4, poi vi sono delle sezioni strumentali in tempo dispari, la più micidiale delle quali è un nuovo arpeggione di Fripp che si risolve ogni 15/8, sul quale Ian McDonald stampa due diversi, animosi assoli di sax alto, come ai vecchi tempi. Lincubo descritto dalla canzone è quello del volo ed il suo epilogo è quanto di più lugubre, improvviso e drastico come se il nastro dincisione fosse stato strappato, a simboleggiare lavvenuto disastro.
Per il quarto episodio dellalbum Fripp gratta un po il barile: Providence è una registrazione dal vivo, da un concerto effettuato proprio in quella città del New England, nella formazione a quattro con il violinista Cross. E infatti questultimo a impostare la jam session strumentale, col suono disturbante e zanzaroso del suo strumento elettrico, al quale si accostano in stile free form via via le percussioni di Bruford, la chitarra sempre lancinante di Fripp ed il basso caracollante di Wetton. In otto minuti abbondanti vengono ancora una volta condensati (ma stavolta anche congedati) gli sperimentalismi percussionistici e free jazz del quintetto Crimso che aveva riaperto alla grande le danze un paio danni prima pubblicando Larks Tongues In Aspic e proseguito dandoci dentro di brutto, con laltamente sperimentale Starless And Bible Black. Qui però la mancanza di Jamie Muir, il quinto uomo, il percussionista genialoide, si sente molto.
In chiusura un rinomato pezzo forte del mito King Crimson: la meravigliosa Starless si dipana per oltre dodici minuti, ampliando il suo mood modello In The Court Of The Crimson King part 2 a qualcosa di autenticamente nuovo e appagante, grazie ad una sezione centrale urticante e geniale. Ma andiamo con ordine: il brano parte col lamento del mellotron colla sua tipica, ansiogena intonazione dondolante. Su di essa Fripp opera con uno dei suoi suoni preferiti: toni chiusi e distorsione dolce e lunghissima, violinistica. Wetton prende il proscenio con un cantato smaccatamente in stile Lake, contrappuntato dal lavoro di Collins al romanticissimo sax soprano. Due strofe e la suite si ferma in un inaspettato break.
Parte sommesso un riff di basso (composto da Bruford, pare, in effetti possiede il suo imprevedibile gusto per metrica e gli accenti strani). La cadenza è lenta e zoppa di suo (17/8, credo). Lomino con occhialetti e sgabello al seguito (Fripp non ama suonare in piedi, perde in precisione, dice) la rende in un attimo straniante, approcciando un solo a nota unica e dissonante: pulita, nuda, imperfettamente perfetta, spaziale alla massima potenza. Ad ogni giro la ritmica cresce, lostinato di chitarra indugia e ogni tanto si sposta verso gli acuti, aumentando la distorsione e lattacco fino a lancinanti bicordi sugli acuti. Un break di 11/8 ed esplode il sax di McDonald che non fa prigionieri ed eleva al pariossismo latmosfera generale. Ma non è finita: giusto un attimo di respiro coi due fiatisti in unisono e riparte Fripp assatanato con un paio di chitarre che si fanno la guerra da un canale allaltro, fino allapoteosi del mellotron e del sax tenore, che si riprendono la canzone con la loro dolcezza che sembra una liberazione, il primo a volume quadruplo e sciabordante come un mare, il secondo che si appropria della stessa melodia impostata dalla chitarra ad inizio del pezzo, e questo fino a i drammatici stacchi finali che chiudono lalbum.
Questo potente brano doveva chiamarsi Starless And Bible Black (da una frase del testo), durare la metà e trovar posto nel precedente album, ma a Fripp non piaceva abbastanza e quindi aveva opposto uno dei suoi soliti veti. La trovata della sublime fase centrale strumentale aveva portato a un ripensamento e alla necessità doverosa di tenerlo in considerazione per questalbum, ma a quel punto il titolo era già stato consumato per un brano strumentale e addirittura per il titolo del disco precedente La soluzione fu trovata semplicemente accorciando il titolo di questa esimia pagina, a chiusura di uno dei migliori lavori dei King Crimson.
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