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R Recensione

6/10

Oceansize

Self Preserved While the Body Float Up

Il vento non sarà mai favorevole a quel marinaio che non sa che direzione prendere” scriveva Seneca. Gli Oceansize rappresentano la trasmutazione di questo assennato aforisma in musica. La band di Manchester è preda di continui cambiamenti di genere come se non riuscisse mai ad assestarsi entro un recinto espressionistico preciso. Una titubanza sonora particolare, imprigionata in un tessuto armonico che un tempo riusciva comunque a mantenere un suo ordine entropico. Poi la voglia di sperimentare nuovi confini, di spingersi oltre, li aveva portati a compiere un paradossale “giro di boa” fino a massificare la loro proposta musicale con l’album "Everyone into positions". La redenzione, avvenuta con il seguente "Frames", li vede protagonisti di un multilinguismo sonoro, caratterizzato da ambientazioni progressive macchiate da toni intimisti e atmosfere più ricercate. Oggi gli Oceansize propongono un melting pot di difficile catalogazione.

La loro ultima fatica, “Self Preserved While the Body Float Up”, trova una sua collocazione primaria negli approcci forsennati tipici del metal, s’inserisce nel filone del rock moderno figlio dei Cave In e sfocia nei territori più impegnati del progressive d’autore. Questa filosofia cerchiobottista restituisce una band confusa e troppe volte incerta sulla via da intraprendere. Le idee ingarbugliate riportano alla mente una sorta di stream of consciousness di joyciana memoria. Come se un flusso libero di note affiorassero alla mente senza barriere, completamente disarticolate e male organizzate. Il risultato è un sovraccarico di dati che confonde le idee all’ascoltatore e non riesce mai ad adattarsi a canoni più precisi.

Ed è un vero peccato che gli Oceansize non riescano a colmare questa lacuna, perché quando vogliono scrivono manifesti di espressione vivida ed ermetica ("Oscar acceptance speech") massicce deflagrazioni supersoniche ("Build us a rocket then") e romantici echi di elegante indie pop ("Ransoms") dove la voce di Mike Vennart scivola leggera sopra i tappeti di note fino a compenetrarli.

"Self Preserved While the Body Float Up" attrae e respinge allo stesso tempo, ostentando un fascino che purtroppo emerge latente nel dedalo di idee e rimane sospeso in bilico tra l’idillico e l’imprescindibile anche quando le emozioni si materializzano nelle poche ammalianti sfuriate di derivazione hardcore. Come nel più bizzaro caso di nomen omen, la musica degli Oceansize potrebbe essere riassunta esattamente come la grandezza dell’oceano. Una rassicurante visione paradisiaca mista a un senso di smarrimento che inesorabilmente porta all’estraniazione.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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skyreader (ha votato 6 questo disco) alle 10:20 del 11 novembre 2010 ha scritto:

Una deflagrazione a salve

Sono pienamente in sintonia con le parole di Leonardo. Ho seguito tutto il percorso artistico della formazione di Manchester, sin dal loro magmatico esordio di "Effloresce", con il senno di poi, il loro miglior lavoro in assoluto (seguito poi dall'ottimo terzo album "Frames").

La loro forza creativa li ha a mio avviso resi stilisticamente unici, potendo porsi come una alternativa per tutti coloro che non si sono riconosciuti nelle proposte dei coevi Tool o Mars Volta. Tuttavia, dopo il "riassuntivo" live dello scorso anno, e dopo le loro esaltanti dichiarazioni in fase di registrazione, questo album risulta e vuole apparire più deflagrante dei suoi predecessori, ma l'esplosione è più riconducibile ad un fuoco d'artificio che ad una esplosione di genialità. Gli Oceansize approfondiscono, nei momenti nei quali premono a tavoletta sull'acceleratore, la loro vena d'ispirazione che deriva dall'amore viscerale per una formazione realmente deflagrante (e troppo spesso dimenticata dalla critica): gli enormi CARDIACS (non a caso l'opener dell'album si chiama "Part-Cardiac"). Tanto da far apparire apparire molti frangenti di questo "Self preserved..." quasi un tributo dichiarato all'arte musicale definita Pronk (Progressive Punk) ideologizzata da Tim Smith. La loro sì che sarebbe una "Storia della Musica" da raccontare!

Ma i Cardiacs gli Oceansize se li portano nell'anima sin da "Effloresce".

Non mancano grandi momenti di personalità come la magnifica "Silent/Transparent", sublime nell'intreccio delle chitarre e nella sua soffusa tortuosità. E qualche altro momento topico... Ma il il tutto risulta vagamente disomogeneo e privo di quel lampo di genio che in passato (fino al recente passato) era così tangibile.