John Fahey
Fare Forward Voyagers
Dagli esordi al fatidico 1973, levoluzione artistica ha perennemente contrassegnato la carriera di John Fahey, dalla rivisitazione del folk americano a quella del blues rurale, dal dixieland alla musica concreta, dai compositori americani (su tutti Charles Ives) al raga indiano, sino alla musica sacra. Caratterizzate da uno stile sobrio, minimale, primitivo come avrebbe detto lui, le sue suite per sola chitarra hanno precorso gli incantesimi della new-age; quel suo fingerpicking estatico e straniante racchiudeva un potere evocativo enorme.
Già in America (Takoma, 1971) si potevano riscontrare quegli elementi che due anni dopo avrebbero dato vita a Fare Forward Voyagers (Takoma, 1973).
Ma se America reclinava sulla necessità di una struttura narrativa, il nuovo lavoro è diretta espressione dello spirito, peregrinazione cieca, vagabondaggio immateriale. Trasferitosi in California, si appassiona alle dottrine di Swami Satchidananda, guru spirituale che aveva fondato una piccola comunità a Lake County. E questo il periodo in cui Fahey, grazie ad un rinnovato (o forse riscoperto?) rapporto con uno spiritualismo di origine indiana, affida la composizione ai suoi istinti, cavalcando il suo strumento in territori inesplorati. I sentieri scolpiti dal chitarrista di Berkeley sono parto di unimprovvisazione sdentata, avvolta a strutture sempre al limite del collasso; cavalcate cristalline, pause meditative, improvvise rotture, ruschi di note; la trascendenza melodica proietta la percezione fra le lande del sortilegio.
E in questa particolare condizione dello spirito che il viaggiatore può cogliere lunità del tutto ed elevarsi ad assoluto: così in When The Fire And The Rose Are One (13,54), Fahey traduce in musica i versi tratti dai Quattro Quartetti del poeta Thomas Stearns Eliot (All manner of thing shall be well/ Into the crowned knot of fire/ And the fire and the rose are one), nei quali si celebra lascensione dello spirito attraverso lunione del divino (il fuoco) ed il desiderio umano (la rosa). Come non riproporre quel famoso racconto della farfalla che per conoscere la fiamma ci si butta dentro e brucia, mettendo a nudo lirresistibile fascinazione per la fiamma damor vivo (Juan de la Cruz), latto estremo e lincapacità di restituire lesperienza. Così dopo pochi accordi riverberati (il momento di massima lucidità prima del gesto ultimo), Fahey accetta la sfida; la chitarra si contorce, poi si placa, si risolleva in arpeggi trasparenti, si divincola tra le fiamme, si consuma in poche note; la struttura melodica alterna attimi di quiete ad accelerazioni forsennate, forme sgraziate e scheletri armonici; eccola lunità del tutto, il fuoco e la rosa.
Decisamente più traducibile ma non meno affascinante è il secondo brano Thus Krishna On The Battlefield (6,36). Potremmo dividerlo in due parti; una prima definita da un tessuto ad accordi sovrapposti che mantiene però un tematica di base; la seconda, invece, scarnificata in secchi zampilli di note e fremiti armoniosi. La composizione rincorre una sorta di logica dello spirito, (azione indiretta e disinteressata) che Fahey contrappone allazione diretta e quindi colpevole.
Ma è nellultimo brano che può dirsi compiuta la ricerca di se stessi e per rifrazione del mondo interagente. La rinascita sta nel viaggio disinteressato, nel vagabondare senza meta in quel piacere nascosto dell andare avanti. Così celebrano i versi di Eliot, così canta la chitarra di Fahey.
"Fare Forward Voyagers" (23,37) rappresenta una delle più grandi e ben riuscite escursioni sonore della storia della musica e probabilmente il capolavoro assoluto di Fahey. Il viaggio si apre, come di rito in una cornice daccordi aspersi; i primi passi mossi dallesploratore sono note aurorali, forme evanescenti, brividi armonici. Poi un caleidoscopio di note radiose, scale indiane, movimenti blues; la chitarra cavalca frenetica verso la cima; lascensione procede per vie sinuose, strutture serpentine, raga tortuosi; poi calma, poi ancora salita; la breve ripresa di Dalhart, Texas, 1967, brano inciso su America, rappresenta la conclusione e lincipit del viaggio.
Così, per Fahey, il viaggio diventa riscoperta di se stessi, rinato stupore per un luogo già vissuto, rinvenimento di un ascolto vergine fra gli ineluttabili solchi della trascrizione sonora.
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