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R Recensione

6/10

Leafblade

The Kiss of Spirit and Flesh

Il progetto messo a punto dal cantore/cantante, scrittore e chitarrista Sean Jude e da Daniel Cavanagh (guitar-man degli Anathema, qui impegnato anche al basso, alle tastiere e alla produzione) prende le mosse da una prospettiva assai singolare: a partire dai versi di Jude, questo sodalizio artistico – giunto oggi al secondo capitolo – intende edificare un mondo visivo che si impregna completamente delle intime e sognanti atmosfere a cui rimandano le parole che, prima di divenire canto, rivendicano la propria appartenenza all’evanescente limbo di una qualche musa della poesia. Ad ogni modo non aspettatevi banali parti recitate semplicemente portate in volo su un tappeto sonoro. I Leafblade hanno tutte le connotazioni di un gruppo musicale, sebbene i brani non ardiscono infrangere alcun muro del suono, preservando la delicata natura crepuscolare dalla quale sembrano scaturire.

Nei momenti più magniloquenti, le composizioni si ammantano dell’indole degli Anathema: vista la presenza di Cavanagh e di Daniel Cardoso (tastierista nella band di provenienza ma qui impegnato alla batteria), ciò era inevitabile. Seguendo le medesime traiettorie, Bethlem e The Hollow Hills, poste in rapida sequenza in apertura, catturano subito l’attenzione  richiamandosi alle vertiginose spinte ascensionali dell'alt-symphonic prog della formazione di Liverpool. Tuttavia le vere sorprese arrivano quando il contesto si fa più acustico e minimale: il bozzetto per chitarra classica intitolato Fuchsia (nel quale si colgono suggestioni iberiche), apre la strada ad una serie di episodi più ipnotici e ricchi di venature contemporanee. Oak Machine risplende di una luce vespertina che procede con movimenti mesmerici senza precludersi inaspettate svolte elettriche: davvero il vertice dell'album. Beneath A Woodland Moon sembra invece ereditare dal progressive inglese quella capacità di esprimersi – talvolta – attraverso la forma di deliziosi acquerelli intrisi di un folk pastorale (vedi For Absent Friends dei Genesis). La chiusura di Portrait vuole costituire una sintesi dei vari volti dei Leafblade: un progressive atmosferico – oserei dire ambientale – che non si prodiga a generare uno stupore attraverso virtuosismi avulsi dalle tenui trame musicali intrecciate, ma che desidera comunicare emozioni con arpeggi arabescati, impasti vocali elaborati e, solo in poche occasioni, alzando il volume con impennate soniche. Il focus è tutto nell’equilibrio e nella volontà di mantenere fede alla memoria dei luoghi ancestrali che rivivono nei sentieri onirici e nelle rime di Sean Jude.

Un disco da cui originano piccoli impalpabili incantesimi che, pur non sovvertendo alcuna regola sonora, sanno dispensare lunghi minuti di intensa astrazione e di lievissima grazia.

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