V Video

R Recensione

7/10

Ballo delle Castagne

Kalachakra

Un titolo che omaggia Werner Herzog e un suo documentario sul rito d’iniziazione buddhista, citazioni di Klaus Kinski e del libro Tibetano dei morti, il Bardo Thodol, dedica in calce a chi lotta per il Tibet libero dall’oppressione cinese e “for whom the wheel of Dharma is turning”. Fede, misticismo, natura, spazio, uomo. Si prendono dannatamente sul serio, i Ballo delle Castagne, e lo scrivente non rileva un solo motivo per cui non dovrebbero farlo. Una strada accidentata, difficile, quella intrapresa due anni fa con l’esordio omonimo (se non contiamo il 10” 108, omaggio a certo oscuro prog italiano), e che si fa ancora più impegnativa mano a mano che ci si inerpica nel buio profondo di questo Kalachakra. Come dire: non conta affatto la meta da raggiungere, ma il viaggio che conduce a quell’ascesi mentale che nulla ha a che fare con la vita e la morte, ma con il dubbio, la speranza, l’universo.

Un delirio di elucubrazioni mentali dalla logica stordente, cui portare rispetto e a cui accostarsi con sufficiente cautela, che trova il suo ideale compimento musicale in un prog melmoso, scevro da barocchismi di sorta e anzi affine a certa psichedelia garage di fine ’60, ammorbata di melodie tumefatte e mesmerismi kraut. In una nota (nel libretto i testi sono tradotti in inglese e i credits riportati interamente nell’idioma d’Albione) la band afferma “There is no end, there is no begin: that’s what we learned and we recorded on this album.”, ma dovendo qui cominciare da qualche parte, trovo che l’incipit sia la scelta giusta: Passioni Diaboliche, dunque, con la sua coda in levare e la splendida estensione vocale di Carolina Cecchinato, ad affiancare il declamare terreno di Vinz Aquarian. Al limite del liturgico, la sua voce in I Giorni Della Memoria Terrena (musiche degli Eloy) e in Tutte Le Anime Saranno Pesate, corteggiata dalle tastiere (suonate dall’ottimo Marco Garegnani, al pari di moog e chitarre) su un liquido tappeto di bassi: l’aldilà, il giudizio post-mortem, un assolo di chitarra finale giustamente destabilizzante.

Fino alla title-track, il cammino è lento, inesorabile: Kalachakra, dopo progressiva introduzione, irrompe ipnotica – immaginate i My Bloody Valentine in pieno trip orientaleggiante – e si chiude in una lunga esondazione sensoriale lisergica. La Terra Trema è finalmente tirata, ma i pezzi forti si chiamano La Foresta Dei Suicidi e Omega: la prima, strumentale, è impossibile connubio di pianoforte, lamenti, urla distorte e assordanti suoni dallo spazio, la seconda, umida d’oriente, è preda delle convulsioni del drumming e di frequenti cambi di ritmo che presto si sciolgono in uno space-rock disarmato (“fuggo la materia negli spazi siderali”).

La netta sensazione è che davvero i Ballo delle Castagne, al di là dei proclami di circostanza, suonino per se stessi più che per il pubblico. Come chiariscono in una postilla, “The Kalachakra, as tantric initiation, was not intend to be performed to large audience”, e c’è da crederci: che sia ostico, illuminante, sgradevole, elettrizzante, l’importante è il viaggio. La meta, in questo caso, è ignota, ma il tragitto per raggiungerla può valere l’esperienza.

 

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Juàn 8/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

crisas (ha votato 1 questo disco) alle 1:06 del 4 luglio 2011 ha scritto:

Ahahahah, mi avete tirato su il morale, grazie

cthulhu (ha votato 8 questo disco) alle 10:08 del 5 luglio 2011 ha scritto:

Gran disco!

Ottimo disco che omaggia il krautrock e il prog piu' oscuro.

Juàn (ha votato 8 questo disco) alle 12:30 del 5 luglio 2011 ha scritto:

Disco che richiede qualche ascolto, ma con almeno tre pezzi di ottima fattura. Netto miglioramento rispetto al primo lavoro. Viaggio che si...può valere l'esperienza..