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R Recensione

6/10

Amplifier

Echo Street

Gli Amplifier avevano così tanto sorpreso con il loro precedente doppio concept-album del 2011 "The Octopus" (incandescente materia prog-psichedelica perfettamente al passo coi tempi), da rendere trepidante l'attesa per qualunque cosa sarebbe seguita.

Qualche mese fa la loro newsletter annunciava che era in corso di scrittura un lavoro - nuovamente "a tema" - dal titolo "Mystoria" del quale venne fornita addirittura una anteprima (il brano Silvio). Ecco, stando a quanto affermato oggi, "Echo Street" è completamente un altro progetto, che si sviluppa su differenti traiettorie sonore. Quello che ascoltiamo è dunque solo marginalmente riconducibile agli Amplifier che così tanto avevamo apprezzato in "The Octopus": sugli stessi contrasti si assesta l'ipnotica trama di The Wheel (pulsazioni telluriche, vertigini chitarristiche, deflagrazioni improvvise), Extra Vehicular che contempla un andamento da ballad introversa ma che custodisce in sé un magmatico cuore lisergico in grado di riservare soniche rivelazioni, il lungo excursus space-post-rock della title track che procedendo con un lento moto ascensionale, si pone in rotta di collisione con il sole.

Il resto scorre lungo coordinate orientate in tutt'altra direzione: Matmos in apertura sembra una delle ballate di rock siderale di cui sono artefici gli Spock's Beard meno proggaroli; su medesime sensazioni si attesta Where The River Goes, decisamente monocorde nella sua quieta prima parte (è proprio l'impianto melodico a mostrare la corda), mentre solo nel finale trovano spazio quelle abbacinanti visioni che fino a ieri investivano interamente la musica degli Amplifier. Paris In The Spring si muove lieve e obliqua su sapori agrodolci rammentando i Kansas dei tempi andati, mentre Between Today And Yesterday è un delicato acquerello acustico che sembra "made in U.S.A." (con amalgame vocali squisitamente West Coast, riecheggiando tanto CSN&Y, quanto i Porcupine Tree che li rievocano).

La leadership della band è ben salda nelle mani e nella mente di Sel Belamir (voce e chitarre), ma è evidente che un “ricalcolo dell’itinerario” si rende necessario: "Echo Street" è infatti un disco gradevole, che si lascia ascoltare (adatto mentre si è alla guida, potrebbe asserire qualcuno), ma che nelle transizioni dal pacato all'esplosivo esaurisce le sue principali dinamiche espressive. E poi c'è una certa dose di inefficacia nella struttura compositiva che si manifesta anche attraverso impalcature melodiche poco ambiziose e che non consente di credere fino in fondo in quest'album, proprio per il modo in cui questo sceglie di comunicare. Basterebbe concentrarsi sul pezzo di chiusura Mary Rose (dagli interessanti riverberi barrettiani), davvero simbolico e tale da palesare tanto i punti di forza di "Echo Street" (fra tutti la volontà di trascendere la linearità della forma canzone), quanto i suoi punti deboli (prevale l'idea di fondo che giustapporre elementi "roboanti" e inclinazioni riflessive sia sufficiente a risolvere un brano). Anche la vocalità di Belamir sembra adeguarsi a questo nuovo stato dell'arte, risultando meno intensa e inquietante.

In generale, le soluzioni prescelte risultano  semplificate rispetto a quanto "detto e fatto" nel 2011 e, in qualche misura, si ricollegano agli episodi discografici che hanno preceduto "The Octopus": la presenza in pianta stabile alle chitarre di Steve Durose degli Oceansize, non riesce a far si che vengano riesumate le meravigliose eccentricità dell'indimenticata formazione mancuniana.

Pink Floyd, Kansas, Porcupine Tree, Soundgarden, Spock’s Beard: in una girandola di colori, continuano a risuonare diverse stagioni della grande epopea del rock più epico. Ma forte era la convinzione che queste canzoni avessero meglio convogliato il vento elettrico generato nel corso della vicenda degli Amplifier: invece la carica risulta dispersa o solo occasionalmente capace di creare impressionanti scenari di luce.

Sel Belamir & soci sono noti per essere dei perfezionisti, dei minuziosi registi, accuratissimi nello scegliere le location per le loro sceneggiature musicali: finora si sono sempre presi il loro tempo per scrivere la loro arte. “Echo Street” è stato invece composto e registrato in un arco temporale ridotto, per catturare l’urgenza creativa. Ecco, forse per gli Amplifier è meglio tornare ad quell'approccio meditato e elaborato che gli è più consono.

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Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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firstvalley (ha votato 6 questo disco) alle 14:28 del 3 maggio 2013 ha scritto:

il disco non mi dispiace ma sinceramente mi aspettavo una continuita di discorso musicale piu' duratura,pero' qualcosa all'interno di di questo disco visti i riferimenti "(con amalgame vocali squisitamente West Coast, riecheggiando tanto CSN&Y, quanto i Porcupine Tree che li rievocano)"mi pone il sospetto che ci sia stata una forte influenza e pressione di qualche "Santone" che ruota intorno a loro boh' forse mi sbaglio