Gentle Giant
Gentle Giant
In seguito ai non eccelsi risultati commerciali come musicisti jazz e rhythm & blues (Simon Dupree & The Big Sound) i fratelli scozzesi Schulman voltano pagina ed insieme al tastierista Kerry Minnear, al chitarrista Gary Green ed al batterista Martin Smith maturano l’idea di seguire gli arditi modelli musicali, più tardi definiti progressivi, di altre band come King Crimson, Genesis e Van Der Graaf Generator.
Il 1970 è l’anno dell’esordio discografico dei Gentle Giant con l’album omonimo pubblicato per l’etichetta Vertigo e prodotto da Tony Visconti (già manager di David Bowie) e che desta immediatamente estrema curiosità grazie alla fantastica copertina, creata da George Underwood, iconizzata nel corso degli anni, che ritrae in dettaglio proprio il gigante gentile che sorregge con dolcezza sul palmo di mano i componenti del gruppo di Portsmouth. Ma è soprattutto la fresca ed originale proposta musicale a convincere. Le lunghe esperienze live, ed un bagaglio tecnico enorme, porta i fratelli Schulman e soci a creare armonie intricate, stranamente non ben recepite dagli esperti media inglesi (meglio in Europa e soprattutto in Italia), che passano da decise componenti rock, a trame classiche, barocche e medievali, al folk, al blues ed al jazz in modo estremamente originale.
Le armonie vocali, basate sulle splendide voci soliste di Phil e Derek Schulman e Kerry Minnear e da cori omogenei ed impeccabili, completano questo straordinario telaio sonoro, davvero inconsueto. Già da “Giant”, brano d’apertura, è evidente l’immensa varietà di scelte stilistiche del gruppo. Un pezzo chiaramente progressivo e trascinante basato sul rapporto chitarra elettrica-batteria tra Gary Green e Martin Smith, lascia spazio nel mezzo alle interessanti inserzioni dei fiati di Phil Schulman e delle tastiere di Minnear. Colpisce l’acuta e perfetta voce di Derek Schulman che canta e descrive la realizzazione del “gigante” come risultato finale di un progetto di vita che, per i Gentle Giant, corrisponde all’attività di musicisti di successo. Più delicata e leggiadra è la successiva “Funny Ways” cantata da Phil e da Derek.
Il pezzo brilla per il grande apporto di Ray Schulman con il suo violino contrapposto alle sezioni di chitarra classica e spezzato da vigorosi assolo hard. Il testo del brano è rivolto alle negative impressioni che gli instabili modi di fare provocano nelle relazioni sociali. In “Alucard” è davvero notevole il lavoro di composizione vocale d’ensemble che viene eseguito al contrario e realizzato montando la traccia da una registrazione esterna su nastro magnetico. Interessante l’idea di intitolare la traccia “Alucard” che letto al contrario corrisponde a “Dracula”.
Il pezzo è dai tratti marcatamente jazz grazie al decisivo apporto del sassofono di Phil Schulman e basato su un ripetuto ed inquietante riff di sintetizzatore che si adatta alle liriche oscure e misteriose. Interessante l’effetto chitarristico privo di una sequenza armonica se confrontata con il ritmo trainante del brano, ma è proprio questa una delle caratteristiche più innovative della musica dei Gentle Giant, l’utilizzo dei famigerati tempi dispari. Un riff di moog collega il brano precedente a “Isn’t Quiet and Cold” cantata ancora da Phil e che riporta a suoni più classici ed introspettivi.In forte evidenza l’ottimo violino di Ray Schulman, il cello di Minnear e lo strepitoso fraseggio allo xilofono di Smith.
Ad un fine ascolto è facile trovare in questo pezzo dei chiari riferimenti alle sonorità di alcune ballate beatlesiane. Intrigante l’argomento del brano raffigurante i pensieri e i dettagli che circondano un uomo solitario che cammina per strada dopo aver perso l’ultimo autobus. Ma l’autentico capolavoro del disco è “Nothing At All”, autentico marchio di fabbrica delle artificiose idee del gruppo. Un miscuglio di più parti sorprendentemente distanti tra loro: una prima parte folk, dolce e sensuale esclusivamente dedicata a chitarra acustica, pianoforte e voce, una seconda devastante dagli inconfondibili tratti hard e dal crescendo mozzafiato che spezza con grande efficacia la dolcissima armonia iniziale.
Granitici brani elettrici trascinano il pezzo ad un lungo e ossessivo assolo di batteria (più di tre minuti) che viene contaminato in diversi momenti da geniali quanto folli note di pianoforte (tra le quali un inserto di Minnear che riprende la “Lieberstraum N.3” di Franz Liszt) e definite dalle ottime corali che Derek e Phil formano con la loro voce. Leggiadro ed amoroso il testo dedicato alla descrizione delle graziose azioni di una ragazza seduta in riva ad un fiume. Il brano si conclude con una ripresa della tenue e dolce parte iniziale.
Una variopinta miscela di genio colto, di regole musicali osservate senza canoni. “Why Not?” è un altro pezzo boogie-rock, molto veloce e tecnico che ha al suo interno un favoloso inciso formato dal fluttuante connubio classico organo-flauto-voce che riporta sul finale del brano alle esplosive note di chitarra rock’n’roll di Green. Il disco si conclude in tono irriverente con “The Queen” una revisione breve e personalissima dell’inno nazionale inglese. Questo è solo l’inizio.
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